Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia
Post in evidenza

Le migliori traduzioni dei libri di Dostoevskij (a mio modesto avviso)

Fëdor Dostoevskij non ha certo bisogno della mia presentazione. È uno degli autori più letti e amati della letteratura russa. Questo file nasce dalle tantissime richieste del tipo: “Ciao Jaro, mi potresti consigliare la migliore traduzione di Delitto e castigo?”. Ora finalmente avrete un file compatto da consultare in libreria, quando vi troverete a dover acquistare uno dei libri di Dostoevskij.

Come è stata fatta la scelta delle traduzioni?

La maggior parte di quelle che troverete in questo elenco sono frutto di una ricerca scrupolosa e di un raffronto tra le varie versioni presenti sul mercato con l’originale. Sento il dovere, però, di fare un disclaimer: la scelta è stata anche molto soggettiva, anche se ragionata filologicamente. Queste che seguono sono le traduzioni che io comprerei se fossi in voi. Alla fine del file, quando ci sono più traduzioni tra cui scegliere troverete la mia edizione preferita.

Romanzi e racconti:

TitoloTraduttore/ traduttriceEditoreAnno di pubblicazionePrezzo  
Povera genteSerena PrinaFeltrinelli20169 euro
 Ebe PeregoBUR20079 euro
 Christian KolbeEdizioni Clandestine20208,50 euro
Il sosiaGianlorenzo PaciniFeltrinelli20159 euro
 Giacinta De Dominicis JorioBUR20099 euro
 Pietro ZveteremichGarzanti20068,50 euro
Le notti biancheGiovanna SpendelSan Paolo Edizioni20205,90 euro
 Laura SalmonBUR201910 euro
 Giovanna SpendelMondadori20169 euro
 Serena PrinaFeltrinelli20158,5 euro
 Luigi Vittorio NadaiGarzanti20147 euro  
Netočka NezvanovaIgor SibaldiGarzanti200310 euro
 Serena PrinaFeltrinelli202010 euro
Il villaggio di Stepančikovo e i suoi abitanti Alfredo PolledroQuodlibet201615 euro
 Bruno OsimoBruno Osimo20196,96 euro
Memorie dalla casa di mortiEnrichetta Carafa D’AndriaIanieri201716 euro
Memorie da una casa di mortiSerena PrinaFeltrinelli201711 euro
 Alfredo PolledroBUR200411 euro
Umiliati e offesiSerena PrinaFelltrinelli201810 euro
  M. RakovskaLuigi Galeazzo TenconiBUR201310 euro
 Emanuela GuercettiGarzanti20039,50 euro
Memorie  dal sottosuoloIgor SibaldiMondadori198910 euro
 Serena PrinaNeri Pozza202114,50 euro
 Alfredo PolledroEinaudi20149 euro
Ricordi dal sottosuoloGianlorenzo PaciniFeltrinelli20138.5 euro
Il giocatoreSerena PrinaFeltrinelli20148,50 euro
 Gianlorenzo PaciniGarzanti20089 euro
 Bruno Del ReEinaudi20159,50 euro
 Giacinta De Dominicis JorioBUR20079 euro
Delitto e castigoEmanuela GuercettiEinaudi201413,50 euro
 Serena Prina Mondadori201712 euro
 Damiano RebecchiniFeltrinelli201313 euro
 Silvio PolledroBUR198312 euro
L’idiotaAlfredo PolledroEinaudi201414,50 euro
 Laura SalmonBUR201312 euro
 Gianlorenzo PaciniFeltrinelli201413,50 euro
 Eugenia Maini, Elena MantelliMondadori201714 euro
L’eterno maritoClara CoissonEinaudi201610 euro
 Serena PrinaFeltrinelli20199,50 euro
 Corrado AlvaroSE201920 euro
I demoniAlfredo Polledro Einaudi201415 euro
 Gianlorenzo PaciniFeltrinelli201614 euro
 Rinaldo KufferleMondadori201313 euro
 Francesca GoriGarzanti201713 euro
L’adolescenteSerena PrinaFeltrinelli202113 euro
 Eridano BazzarelliBUR200312 euro
La miteLuigi Vittorio NadaiGarzanti20194,90 euro
 Patrizia ParnisariFeltrinelli20137,50 euro
 Serena VitaleAdelphi201811 euro
Il sogno di un uomo ridicoloAndrea Montemagni; Barbara GambacciniEdizioni Clandestine20195 euro
 Tat’jana Kasatkina; Elena MazzolaSchole201918 euro
I fratelli KaramazovSerena PrinaFeltrinelli201416 euro
 Agostino VillaEinaudi201418 euro
 Alfredo PolledroNewton Compton Editori20179,90 euro

Saggistica, lettere, diari

Note invernali su impressioni estiveSerena PrinaFeltrinelli20209 euro
Diario di uno scrittoreEttore Lo GattoBompiani200740 euro
LettereGiulia De Florio; Alice Farina; Elena Freda PireddaIl Saggiatore202075 euro
Lettere sulla creativitàGianlorenzo PaciniFeltrinelli20188,50 euro
La condannaMarilena ReaPassigli202010 euro

TOP OF THE SOMMO

Ora è il momento delle edizioni superconsigiate dal sottoscritto. Anche le altre sono validissime, ma, se avete la possibilità, prendete queste. Vi lascio la copertina e il link a IBS (sono tutte edizioni in commercio e ampiamente disponibili)

Povera gente:

Link: https://www.ibs.it/povera-gente-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807902345

Il sosia:

 Link:https://www.ibs.it/sosia-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807901799

Le notti bianche – La cronaca di Pietroburgo:

Link:https://www.ibs.it/notti-bianche-cronaca-di-pietroburgo-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807901874

Netočka Nezvanova:

Link:https://www.ibs.it/netocka-nezvanova-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807903533

Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti:

https://www.ibs.it/villaggio-di-stepancikovo-suoi-abitanti-libro-fedor-dostoevskij/e/9788874628315

Memorie da una casa di morti:

 Link: https://www.ibs.it/memorie-da-casa-di-morti-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807902727

Umiliati e offesi:

Link: https://www.ibs.it/umiliati-offesi-libro-fedor-dostoevskij/e/9788811367338

Memorie dal sottosuolo:

Link: https://www.ibs.it/memorie-dal-sottosuolo-libro-fedor-dostoevskij/e/9788854521407

Il giocatore:

Link: https://www.ibs.it/giocatore-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807901638

Delitto e castigo:

Link: https://www.ibs.it/delitto-castigo-libro-fedor-dostoevskij/e/9788806220457

L’idiota:

Link:  https://www.ibs.it/idiota-libro-fedor-dostoevskij/e/9788817067959

L’ eterno marito – La moglie di un altro e il marito sotto il letto:

 Link: https://www.ibs.it/eterno-marito-moglie-di-altro-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807903236

I demoni:

Link: https://www.ibs.it/demoni-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807902475

L’adolescente:

Link: https://www.ibs.it/adolescente-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807903878

La mite:

Link: https://www.ibs.it/mite-racconto-fantastico-libro-fedor-dostoevskij/e/9788845932687

Il sogno di un uomo ridicolo:

Link: https://www.ibs.it/sogno-di-uomo-ridicolo-altri-libro-fedor-dostoevskij/e/9788865967690

I fratelli Karamazov:

Link: https://www.ibs.it/fratelli-karamazov-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807900792

Non fiction (saggi, lettere)

Note invernali su impressioni estive:

Link: https://www.ibs.it/note-invernali-su-impressioni-estive-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807903632

Diario di uno scrittore:

Link: https://www.ibs.it/diario-di-scrittore-libro-fedor-dostoevskij/e/9788845258060

Lettere:

Link: https://www.ibs.it/lettere-libro-fedor-dostoevskij/e/9788842828495

Lettere sulla creatività:

Link: https://www.ibs.it/lettere-sulla-creativita-libro-fedor-dostoevskij/e/9788807902659

La condanna:

Link: https://www.ibs.it/condanna-libro-fedor-dostoevskij/e/9788836818006

Pubblicità
Post in evidenza

Per il centenario dalla nascita di Gianni Rodari: io e Cipollino

Rodari non fece mai cenno alla propria attività creativa: solo poco prima di rientrare in Italia, regalò ai russi alcune copie dei suoi libri. Quanti scrittori o pseudo tali hanno compiuto speranzosi, in URSS e non solo, questo semplice gesto, senza che ne derivasse alcunché! Nel caso del poeta di Omegna, invece, quest’azione gli avrebbe cambiato la vita”.

Il libro di Anna Roberti

Si è da poco festeggiato il centenario della nascita di Gianni Rodari, lo scrittore per antonomasia della mia (e non solo) infanzia. Rodari è stato molto importante per la mia formazione di bambino e di lettore perché mi ha insegnato il rispetto per gli altri e il diritto alla fantasia.

 Io ho avuto la fortuna di nascere bilingue: parlo sia russo sia italiano. Quando ero più piccolo non capivo questo mio dono, anzi, ero molto confuso tra le due lingue. Alcuni termini mi venivano (e mi vengono tutt’ora) in una o nell’altra lingua. Soltanto ora capisco la ricchezza del bilinguismo, anche se, a volte, sono ancora confuso sulla mia identità linguistica. Per certi versi mi sento e sono italiano, per altri mi sento e sono russo. Ogni volta tento di conciliare queste mie due anime per rendere tutte le mie sfaccettature. Ora vi chiederete perché vi abbia raccontato tutto questo, se devo parlare di Rodari.

Ebbene, io associo il mio bilinguismo anche e soprattutto a Gianni Rodari e al suo Cipollino. Il mio rapporto con lo scrittore di Omegna è cominciato, quando, da bambino, i miei genitori mi leggevano le opere di Rodari ad alta voce: mio padre in italiano, mia madre in russo. Ero ossessionato dalle sue storie e ne chiedevo sempre di nuove. Prima i miei genitori, poi io abbiamo consumato le edizioni dei libri di Rodari che abbiamo in casa. Sono cresciuto con questa doppia versione di Rodari: una legata alla Freccia azzurra e alle Favole al telefono, l’altra a Чиполлино и другие (Le avventure di Cipollino e altri racconti).

È proprio Cipollino, nella sua versione russa, ad avermi stregato per primo. Mi ricordo ancora quanto rompevo le scatole a mia madre affinché mi leggesse le avventure di Cipollino, per mettermi a letto il pomeriggio. La lettura di Rodari era anche divisa in due momenti: il pomeriggio mi veniva letto il libro di Džanni, mentre la sera quello di Gianni.

Rodari, grazie alle avventure di Cipollino, mi ha fatto superare la mia schizzinosità verso alcuni ortaggi. Ad esempio, da piccolo, ero allergico al pomodoro e, anche quando mi è passata l’allergia, non ne volevo proprio sapere di mangiarne. I miei genitori le hanno provate tutte, ma non c’è stato verso di farmi cambiare idea. Poi, però, grazie al cartone animato sovietico, tratto da Cipollino, ho visto il pomodoro come un antagonista da affrontare e vincere, come fa Cipollino.

Io sono sempre stato particolarmente legato alla storia e al cartone di Cipollino perché mi ricordano una parte felice della mia infanzia. Tutt’ora non ho ancora letto, da adulto, nessuna opera di Rodari né in italiano né in russo, come per non rovinare le emozioni dei miei ricordi.

Quest’anno, però, ho letto Cipollino nel Paese dei Soviet di Anna Roberti, pubblicato da Edizioni Lindau, che affronta il rapporto tra Gianni Rodari e l’URSS. Devo ammettere che non conoscevo nulla della vita di Rodari e di questo suo stretto legame con la Russia, non mi sono mai documentato su di lui. Non sapevo che Rodari fosse comunista, anzi, che fosse uno degli intellettuali di punta del PCI e non immaginavo minimamente che avesse visitato così spesso l’Unione Sovietica. Per me, non è mai stato strano avere i libri di Rodari in russo perché, ingenuamente, pensavo fossero solo delle traduzioni recenti dei classici mondiali della letteratura per l’infanzia.

Grazie al saggio di Roberti, ho scoperto ancora un altro Gianni: un uomo aperto, timido e un bravissimo ascoltatore dei più piccoli, che venivano trattati non come bambini, ma come pari. Ritrovare e, soprattutto, scoprire Rodari così umano mi ha fatto bene e mi ha spinto a voler leggere le sue opere in italiano.

Il saggio è molto ben strutturato e riccamente documentato con varie fonti sia dirette sia indirette. La ricchezza della bibliografia è uno dei punti cardine del libro e mi ha fatto scoprire un Rodari inedito o comunque sconosciuto ai più. Nonostante sia un’opera saggistica, ho percepito l’estremo amore di Anna Roberti nei confronti di Rodari. La sua figura è restituita in maniera molto vivida e, a volte, sembra di sentire la voce di Gianni venire dalle pagine. Molto interessante è la ricerca dei rimandi alla Russia e alla sua cultura all’interno dei racconti e delle filastrocche del poeta di Omegna.

Leggere questo libro, per me, è significato ritornare ai ricordi d’infanzia e recuperare una curiosità (quasi sopita) verso la sua opera. Mi sono sentito nuovamente bambino e, devo ammettere, c’è stato anche un rewatch del cartone animato che non vedevo da troppi anni.

Ritornare alle parole di Rodari e ritornare bambini, in questo periodo storico, è quanto mai un dono inestimabile. Lasciamoci cullare e riscopriamo il nostro bambino/la nostra bambina interiore, godendo della fantasia smisurata di Rodari.

La famosa copia consumata delle avventure di Cipollino in russo

Ringrazio Edizioni Lindau per avermi fatto tornare bambino e per avermi omaggiato di una copia del libro.

Se volete guardare il cartone animato, cliccate qui

A presto,

J.

Titolo: CIpollino nel Paese dei Soviet. La fortuna di Gianni Rodari in URSS (e in Russia)

Autore: Anna Roberti

Casa editrice: Edizioni Lindau

Numero pagine: 238

Prezzo: 18,50

Post in evidenza

Una telefonata inquietante

 

«È il momento in cui ogni parola inizia a svanire prima che possa essere trascritta o addirittura letta, è in quel momento che ti accorgi di qualcun altro che a sua volta sta facendo ipotesi sulla loro conversazione, cerca di indagare chi sono, cosa faranno. Di quel qualcun altro, non si sa quasi nulla. Nemmeno la sua esistenza è certa in questa fase. Ma una cosa la sai: se quell’uomo che cerca di osservare esiste, non ha interesse a scrivere la loro storia. Ha altri piani per loro». 

Una donna arriva a Parigi, in un giorno che cambierà la Storia del Novecento. Si sistema in un albergo, prenotatole da Martin, il suo fidanzato. Non appena la donna entra nella stanza e sistema le valigie, riceve una telefonata da un uomo sconosciuto che sa tanto di lei e di Martin, forse troppo. L’uomo dall’altra parte della cornetta dice di chiamarsi Leon e si professa amico di Martin, mentre la donna, Barbara, non sa se credergli oppure no. Non l’ha mai sentito nominare.
Si apre così Konfidenz di Ariel Dorfman, autore cileno-americano nato in Argentina. Dorfman è uno degli scrittori contemporanei più apprezzati sia negli Stati Uniti sia in America latina. È autore di romanzi, pièce teatrali e saggi. In Italia, sempre per Edizioni Clichy, è stato pubblicato, nel 2019, il suo romanzo I fantasmi di Darwin.
È difficile definire questo libro perché, apparentemente sembra un thriller politico, ma, nel corso della lettura, questa patina da romanzo al cardiopalma si perde per lasciare spazio a un romanzo allegorico sulla Verità.

Per me, Konfidenz è stato il romanzo giusto al momento giusto. Luglio è stato un mese difficile, tra la fine della sessione e un apparente ritorno alla normalità. Ogni anno, guarda caso sempre a luglio, resto impantanato con le letture. Non è colpa dei libri che scelgo di leggere, quanto della stanchezza psico-fisica che mi porto dietro. Sappiamo tutti che quest’anno è stato particolarmente duro un po’ per tutti noi. Durante il lockdown, paradossalmente, ho letto di più rispetto al mio solito, non sono stato bloccato né dall’ansia né dall’impossibilità di uscire. Ora, invece, con questo ritorno a un’agognata normalità, mi sento un po’ perso e devo ritrovare l’equilibrio tra le letture e la vita altra.

Finito questo intermezzo personale, vi spiego come mai Konfidenz è stato quel libro sblocca blocco del lettore (scusate il bisticcio di parole). La prosa di Dorfman è magnetica. Davvero, non si riesce a posare il libro perché, ad ogni dettaglio rivelato, viene voglia di sapere se Leon riuscirà a convincere Barbara a continuare la loro conversazione telefonica oppure no. Un altro punto a favore del libro sono gli “intermezzi” in corsivo che depistano e, pian piano, svelano una presenza/assenza inquietante.

«I poveri idioti non sanno cosa significa sognare ogni notte della loro vita una donna perfetta, una donna sconosciuta, non sanno cosa significhi aspettare senza alcuna reale speranza che la mattina dopo, quando scendi per strada, ti appaia miracolosamente, non sanno cosa sia organizzare tutta la propria esistenza in modo da essere preparati per il giorno in cui lei deciderà finalmente di avvicinarsi a te nella cieca realtà della luce del giorno».

In generale, Konfidenz è un libro inaspettato, ad ogni capitolo cambia la percezione del libro. Dorfman sembra dare degli indizi e voce alla versione che crediamo (o vogliamo credere) sia quella vera. Inoltre, in questo romanzo si vedono le due anime dell’autore: quella sudamericana, dedicata ai passaggi più onirici e poetici del libro; quella americana, per il gioco, tipico del postmodernismo, con il genere e il lettore. Questo dualismo mi ha fatto apprezzare ancora di più il libro perché, come tutti i buoni libri degni di questo nome, mi ha sorpreso, lasciato domande irrisolte e convinto fino in fondo. Dorfman, poi, scrive in maniera magistrale: lascia il giusto tempo allo svolgersi della vicenda, senza affrettare il corso degli eventi. Chapeau.
Una nota di merito va fatta a Fabio Cremonesi e Micaela Uzzielli per aver reso vive e credibili le voci di Barbara e Leon. È anche merito loro se il libro è così scorrevole e godibile.

«Se qualcuno la osservasse, potrebbe pensare che esiti, che tardi a rispondere. Quella pausa, ammesso che ci sia davvero, dura appena un istante. Poi la donna esclama: “quello che mi piacerebbe sapere è perché Martin…”».

Dopo aver letto Konfidenz, sono curioso di leggere altro di Dorfman perché, penso, sia uno degli autori internazionali più originali della contemporaneità.
Se volete leggere un thriller diverso, cervellotico e inaspettato, allora, Konfidenz è il libro che fa per voi.

Ringrazio, come sempre, Edizioni Clichy per avermi omaggiato di una copia del libro.
A presto,
J.

 

 

Titolo: Konfidenz

Autore: Ariel Dorfman

Traduttore: Fabio Cremonesi e Micaela Uzzielli

Casa editrice: Edizioni Clichy

Numero pagine: 207

Prezzo: 17€

Una richiesta d’aiuto arriva da una stanza chiusa- “Us” di Michele Cocchi

Avevo già sentito parlare del fenomeno degli hikikomori, ma non mi ero mai fatta tante domande. Non mi ero mai chiesta cosa poteva esserci dietro la figura di un ragazzo o una ragazza che non vuole più uscire di casa, che gioca al computer o ai videogiochi in modo compulsivo senza provare piacere per nient’altro. Non mi ero mai nemmeno chiesta se la mia idea di “hikikomori” fosse quella giusta, o stessi sbagliando. Grande errore.

Poi è arrivato “Us” di Michele Cocchi, è arrivata la richiesta di partecipare ad un blog tour in cui avrei potuto concentrarmi sulla parte psicologica di un fenomeno ancora poco studiato, tutto da scoprire, ma di rilevanza sociale fortissima. E quindi ho iniziato a leggere il libro e a fare ricerche online, e i puntini che mi ero formata in questi anni si sono piano piano collegati.

“Us” è un libro della nuova collana Weird Young di Fandango, ma al suo interno ho trovato molto di più di uno young adult: ho trovato un libro piacevole, che scava nel profondo del disagio di un ragazzo fino al punto giusto, senza appesantire il lettore e senza scivoloni o cliché. E già questo merita tanti complimenti.

Tommaso ha 16 anni ed è da 18 mesi chiuso in casa. Grazie all’attenta analisi e all’occhio clinico di Michele Cocchi (non per niente psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza) conosciamo il mondo hikikomori con riguardo, senza traumi o angosce che non ci appartengono. Insomma, riusciamo ad entrare con le pantofole nella stanza di un ragazzino che vive un profondo disagio, ma con tante risorse dalla sua parte che verranno fuori man mano che il libro prende vita.

Ho trovato questa lettura interessante e delicata, con la narrazione di temi così spessi come l’isolamento, l’ansia sociale, il rapporto genitori-figli e l’amicizia, sciolta e leggera come solo chi si occupa di bambini e ragazzi per mestiere sa fare.

Per farvi entrare un po’ di più nel tema vi lascio qualche informazione dal mondo della psicologia sul fenomeno degli hikikomori, sperando di incuriosirvi ancora di più per la lettura del libro, e sul tema trattato. Parlarne e conoscerlo il più possibile è importante.

Hikikomori” è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” che deriva da hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi). Gli hikikomori vivono rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori, auto-escludendosi e isolandosi, rifiutando ogni forma di relazione, e in certi casi anche la luce del sole (finestre sigillate con carta scura non sono rari da trovare nelle loro case, o escono solo di notte sicuri di non incontrare conoscenti).

È un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni sviluppatosi principalmente in Giappone, ma anche in Italia, l’attenzione per lo studio del fenomeno sta aumentando. Il ragazzo o la ragazza hikikomori, infatti, sembra non essere una “sindrome culturale” giapponese, come si pensava inizialmente, ma un disagio sociale che riguarda tutti i paesi economicamente e tecnologicamente sviluppati.

Ad oggi non è ancora una diagnosi ufficiale del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali 5 (DSM-5) anche se l’intervento richiede la partecipazione di uno/a specialista della salute mentale. Nonostante non esista ancora una definizione ufficiale di hikikomori a livello internazionale e scientifico, il Ministero della Salute giapponese (MHLW) ha stabilito alcune caratteristiche e sintomi specifici riconoscibili:

  • Stile di vita limitato all’interno delle mura domestiche;
  • Nessun interesse verso attività esterne (come frequentare la scuola o avere un lavoro);
  • Persistenza del ritiro sociale non inferiore ai sei mesi;
  • Nessuna relazione esterna mantenuta con compagni o colleghi di lavoro, quindi conosciuti precedentemente al loro ritiro.
  • Spesso presentano alterazione del ritmo sonno-veglia e il disagio può essere espresso anche attraverso comportamenti aggressivi e scoppi di rabbia.

Uno studio recente ha dimostrato come l’hikikomori sia associato ad un elevato rischio di suicidio. Ovviamente tutti questi sintomi possono variare per intensità e frequenza. Si esclude che il ragazzo o la ragazza sia hikikomori quando è presente un disturbo psichiatrico di maggiore gravità che possa sovrapporsi ai sintomi visibili o altre cause che possano meglio spiegare il ritiro sociale (schizofrenia, ritardo mentale, depressione maggiore etc).

Le cause possono essere diverse, come per esempio caratteriali (inibizione, timidezza…), familiari (disagi familiari, assenza emotiva dei genitori, attaccamento eccessivo alla madre, genitori invadenti…), o scolastiche (rifiuto della scuola, essere vittima di bullismo…). È importante considerare anche il contesto sociale giapponese che può portare a forti difficoltà nel sostenere le regole di perfezionismo legate alla cultura e le pressioni di realizzazione sociale. Tutto ciò insieme sviluppa una crescente demotivazione del soggetto nel confrontarsi con la vita sociale, fino ad un vero e proprio rifiuto della stessa.

Nonostante la gravità della situazione gli studi relativi al fenomeno sono ancora relativamente pochi, in particolare per le culture al di fuori del Giappone, e sicuramente la “natura nascosta” di questi pazienti rende più difficile la programmazione di future ricerche sul fenomeno. Sicuramente è ancora difficile o prematuro definire strategie di intervento chiare e generalizzabili.

Mi sono forse dilungata un po’ troppo, ma ci sarebbe davvero tanto da dire e non potevo stringere di più. Sono temi importanti e hanno bisogno del loro spazio.

Vi piacerebbe sapere qualcosa di più sull’argomento? Leggete i post e gli articoli dei miei compagni e delle mie compagne di blogtour e se volete sapere ancora qualcosa non esitate a contattarci!

Brigitta

Referenze e citazioni

Moretti, S. (2010). Hikikomori. La solitudine degli adolescenti giapponesi. Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza4(3), 41-48.

https://www.hikikomoriitalia.it/p/chi-sono-gli-hikikomori.html

HIKIKOMORI. SINTOMI, CAUSE E TRATTAMENTI

https://www.stateofmind.it/tag/hikikomori/

Yong, R., & Nomura, K. (2019). Hikikomori is most associated with interpersonal relationships, followed by suicide risks: a secondary analysis of a national cross-sectional study. Frontiers in psychiatry10, 247.

Furlong, A. (2008). The Japanese hikikomori phenomenon: acute social withdrawal among young people. The sociological review56(2), 309-325.

Saito, T. (1998). Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki. PHP Kenkyujo.

Astenersi Astemi e circolo del reward

“Hai detto che avevi un’idea in testa…”

“Una grande idea”

“Sentiamo”

“Sarai d’accordo che per la maggior parte di noi il problema della dipendenza è rappresentato dalle conseguenze finanziarie” inizia Pablo.

“Eh sì! Esattamente. Essere dipendente non mi fa stare male. Sono dipendente, tutto qui. Il problema è permettersi i mezzi per la propria dipendenza”.

“Ma qual è la tua idea? Rapiniamo un banca? Non sarebbe una cattiva idea… Al punto in cui sono, sono pronto a tutto pur di rifarmi. Ma non ho esperienza di rapine.”

“No. Formiamo una squadra.”

Quando leggerete “Astenersi Astemi” di Héléna Marienské troverete questa frase sulla quarta di copertina e rimarrete stupiti come è successo a me. Perché le cose che non tornano in questa frase sono tante. Eppure è proprio così. L’autrice ci mette davanti personaggi decisamente disfunzionali singolarmente, che diventano ancora peggio quando si riuniscono. La parte divertente è che inizialmente questo volerli riunire aveva uno scopo benevolo, uno scopo curativo, terapeutico.

Il libro si apre con Clarisse, psicologa e terapeuta di gruppo che scrive ad un latitante collega delle sue idee per una nuova terapia. Vuole provare ad uscire dagli schemi e non svolgere più terapie di gruppo formate da patologie “omogenee”, ma variare e far incontrare tra loro pazienti che soffrono per motivazioni che, secondo lei, hanno meno in comune. Decide così di non fare un gruppo per le tossicodipendenze, uno per lo shopping compulsivo, uno per sexual addicted, uno per il gioco d’azzardo (gambling) e uno per l’alcol e così via, ma di prendere invece una persona da ognuno di questi gruppi e farne uno a se stante. Un gruppo in cui il gambler potrà conoscere la compratrice compulsiva o l’alcolista, in cui una ragazzina con dipendenza da stupefacenti può incontrare un uomo con “ipersessualità”.

Insomma, un pot-pourri. La nostra Clarisse ha tanti buoni propositi, ma scorrendo le pagine la nostra fiducia verso di lei verrà sempre meno perché il gruppo instaurerà delle dinamiche di polidipendenza, una parola che fa strabuzzare gli occhi al primo sguardo e che in pratica significa che l’alcolista magari si scopre una grande giocatrice di poker, e chi prima si sentiva soddisfatto solo dal sesso ora non disdegna la cocaina. Un disastro, ma non per loro, che non sono mai stati così felici e soddisfatti.

Il motivo per cui sono qui a scrivere è per il nostro quarto incontro di Letterapia, dove io e le amorevoli colleghe Flavia, Manuela, Valeria e Cristina ci occupiamo di divulgazione a temi psy partendo da libri più o meno conosciuti. Oggi come avrete capito il tema sono le dipendenze, ma ho deciso di cambiare un po’ registro e parlarvi di cose più tecniche, più “visibili” (anche se non ad occhio nudo…).

Il circuito della ricompensa

James Olds e Peter Milner nel 1954 scoprirono che i ratti possono premere una leva centinaia o migliaia di volte all’ora per ottenere una stimolazione cerebrale nelle zone che ora chiamiamo “circuito della ricompensa”, fermandosi solo quando sono esausti. Il comportamento del premere la leva non ha nessun valore per la sopravvivenza di se stessi o della specie, è un comportamento di puro piacere, ed è questo che ha incuriosito i ricercatori.

Il sistema di ricompensa ora è conosciuto come un gruppo di strutture neurali responsabili della motivazione, dell’apprendimento associato con sensazioni piacevoli o spiacevoli, e delle emozioni positive che coinvolgono in particolare il piacere come componente fondamentale (ad esempio euforia ed estasi).

Il piacere è un’importante componente della ricompensa, ma non tutte le ricompense sono direttamente piacevoli (ad esempio, il denaro non suscita piacere se non collegato alla possibilità di poter acquistare qualcosa)1. Gli stimoli che sono naturalmente piacevoli sono noti come ricompense intrinseche (che vengono da “dentro”), mentre gli stimoli che motivano il comportamento di avvicinamento, ma non sono piacevoli di per sé, sono definiti ricompense estrinseche (da “fuori”)1. Il denaro è una ricompensa estrinseca che risulta gratificante come risultato di un’associazione appresa con una ricompensa intrinseca (acquistare sostanze, alcol, abbigliamento, o giocare, sono tutte attività che creano piacere intrinseco)1. Insomma, le ricompense estrinseche funzionano come calamite motivazionali che suscitano reazioni di volontà, come “bene, adesso ho voglia di…”, ma non direttamente di piacere, come “aah che piacere/che soddisfazione1.

Nel caso del nostro libro, Astenersi Astemi, il denaro funzionava da ricompensa estrinseca, come unico mezzo per raggiungere una vita felice, una vita in cui i protagonisti erano liberi di godere delle loro ricompense intrinseche: il cervello dei protagonisti, il cui circuito della ricompensa era già stato notevolmente messo alla prova, sicuramente sarà molto confuso da tutte queste attivazioni e iper-stimolazioni…

Per qualunque informazione aggiuntiva potete leggere il libro (consigliato), chiedere a noi (va bene anche questo) e leggere gli articoli citati.

Alla prossima #letterapia 😉

Brigitta

1 Schultz W, Neuronal reward and decision signals: from theories to data (PDF), in Physiological Reviews, vol. 95, n. 3, 2015, pp. 853–951, DOI:10.1152/physrev.00023.2014. URL consultato il 27 novembre 2016.

2 Berridge KC, Kringelbach ML, Pleasure systems in the brain, in Neuron, vol. 86, n. 3, maggio 2015, pp. 646–664, DOI:10.1016/j.neuron.2015.02.018, PMC 4425246, PMID 25950633.

Recensione: Città sommersa di Marta Barone

Processed with VSCO with c1 preset

«Non aveva portato niente con sé. Sembrava che venisse dal nulla, che nulla fosse mai successo prima che io esistessi. Ma a cinque anni questo tipo di tempo è perfettamente accettabile. Gli adulti sono dati di fatto e misteri insondabili; gli adulti vanno e vengono, i loro visi appaiono e scompaiono, le stanze dove abitano esistono da sempre e insieme si producono per la prima volta nel momento in cui tu, primo essere umano sulla terra, ne varchi la soglia. A volte sono passeggeri, a volte sono immutabili come le montagne. Non ti fai domande su di loro».

L.B. è un uomo sfuggente. Ogni volta che cambia direzione nella sua vita, si lascia il passato alle spalle. Solo pochi amici continuano a sapere che cosa lui stia facendo. L.B. è anche il personaggio che la narratrice insegue e tenta di ricostruire. L.B. è Leonardo Barone, padre dell’autrice, e questo è un libro di ricongiungimento con un padre (forse) mai conosciuto in tutte le sue sfaccettature, o meglio in tutte le sue vite precedenti.

La morte del padre è ciò che affligge la narratrice che ripensa ai ricordi collegati a lui. Lei deve elaborare il lutto e tutti i non detti che ci sono stati tra di loro. Marta vive a Milano per questioni lavorative e spesso torna a Torino per trovare la madre. Durante uno di questi ritorni, in particolare il giorno di Santo Stefano, dopo i festeggiamenti del Natale, Marta e sua madre iniziano a parlare del padre. Vogliono verificare la data di nascita di L.B. perché non si ricordano se sia nato nel ’45 o nel ’46. Per verificarlo, usano una memoria difensiva di un processo in cui L.B. era stato coinvolto, dove erano segnati tutti i dati anagrafici del padre.

La riscoperta di questo documento è il casus belli che fa partire il libro. La narratrice è sempre più ossessionata dalla memoria difensiva. Lei sa a grandi linee per che cosa è stato ingiustamente accusato il padre, ovvero partecipazione a banda armata.

«Io sapevo già – anche se a grandi linee – cos’era successo, ma la formula giuridica, battuta a macchina su quel foglio ormai ingiallito, e l’associazione improbabile col nome che conoscevo producevano un effetto nuovo, violento. Come se solo in quel momento la cosa fosse diventata vera, fosse stata strappata dal paesaggio indistinto, approssimativo e incolore che è per noi il passato degli altri, la vita degli altri quando non eravamo presenti».

Quando scopre questi documenti, l’autrice della finzione sta tentando di scrivere un romanzo, ma non riesce a trovare la voce giusta. Ci prova più volte, ma l’unica cosa che riesce a scrivere è la ricostruzione degli eventi del passato di L.B. Dunque, Marta inizia a indagare e raccogliere le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuto e che serbano un buon ricordo del padre. Si immerge nella trama fitta degli Anni di Piombo. Ricostruisce gli anni che vanno dal ’68 fino al proscioglimento da ogni accusa del padre. L.B è un ragazzo del sud che va a Roma per studiare medicina. Gli anni sono caldi e le contestazioni studentesche raggiungono il picco con gli scontri di Valle Giulia. L.B. si trova in quella zona calda e viene anche ferito in uno scontro tra studenti fascisti e comunisti. Lui inizia a interessarsi sempre di più di politica e entra a far parte di Servire il popolo, un partito della sinistra extraparlamentare che si prefiggeva di far una rivoluzione socialista in Italia, partendo dal proletariato urbano. Il partito ha una formazione dogmatica quasi sovietica: non si possono discutere le direttive dei dirigenti e se vieni mandato in un’altra città, devi obbedire e trasferirti. Questo è ciò che succede a L.B: viene mandato a Torino nel 1971.

«Il Barone. Ma chi era, questo personaggio sconosciuto che mi giungeva dalle brume del burocratese con quel burocraticissimo articolo davanti?».

Torino, in quegli anni, è la città produttiva del Nord, grazie alla Fabbrica. I lavoratori sono sfruttati e hanno ben pochi diritti. L.B. inizia a far proseliti per Servire il popolo e far capire agli operai che il loro futuro è la rivoluzione. Il partito, però, sta prendendo una piega sempre più dogmatica e in L.B. inizia a incrinarsi la fede nei metodi dei dirigenti. Sono anni convulsi, L.B. esce dal partito, ma non smette di animare i circoli di sinistra della città. Inizia a farsi un nome e tutti non vedono l’ora di assistere a un suo comizio. Passano gli anni e le bande armate, dopo l’assassinio di Aldo Moro, si fanno sempre più spavalde e violente. Inizia un clima da terrore e, tra tutte le formazioni che nascono in quegli anni, Prima linea è una delle più violente sul territorio torinese. Gli adepti di Prima linea uccidono e gambizzano seguendo apparenti motivazioni ideologiche, ma la verità è una: uccidono per il gusto di uccidere.

L.B., in quanto medico, una sera viene chiamato a curare le ferite di un appartenente a questa banda armata. Lui lo fa per dovere etico e non sapeva che costui era uno degli attentatori più feroci. Gli inquirenti, però, lo arrestano lo stesso. Forse a causa di qualche pentito che, per alleggerirsi la pena, decide di fare il suo nome. Non approvando i metodi violenti per sovvertire l’ordine statale, L.B. si è sempre distanziato da partiti che propugnavano una lotta armata. Nonostante anche gli arrestati facenti parte di Prima linea neghino la partecipazione alla loro formazione, L.B. viene comunque incarcerato per settimane.

L’intento dell’autrice, nonché figlia di L.B., è raccontare la storia del padre per offrire un affresco dell’atmosfera cupa degli Anni di Piombo. Ma Città sommersa è molto di più di una semplice ricostruzione di quegli anni. Esso è una ricerca di un padre che non ha mai raccontato le vite precedenti alla nascita della figlia. Attraverso un lavoro di documentazione e interviste mostruoso, Marta Barone tenta di far riemergere la figura di L.B. e renderlo finalmente Leonardo Barone, il padre che lei conosce e ricorda.

«Mentre chi mi parla tentava di ricordare, come sempre le date esatte si accavallavano, i particolari si disperdevano nella memoria di eventi troppo lontani. Nella collisione impari tra le biografie individuali e la storia generale, le date e i dettagli di solito appartengono soltanto ai morti, ai notabili e agli assassini».

Inoltre, vi lascio il link dell’intervista che l’autrice ha concesso a Rai Cultura. 

Spero che Città sommersa entri nella cinquina del Premio Strega perché Marta Barone è un’esordiente da una voce molto forte e meritevole del successo che sta avendo.

Ringrazio Bompiani per avermi omaggiato di una copia del libro.

A presto,

J.

 

Titolo: Città sommersa

Autore: Marta Barone

Casa editrice:  Bompiani

Numero pagine: 296

Prezzo: 18€

 

Stoner e il Disturbo evitante di personalità

Quando mi chiedono di consigliare un libro, Stoner di John Williams è quasi sempre tra i primi. Non conosco una persona a cui non sia piaciuto, o che non ne sia rimasta affascinata in qualche modo.

Ed è strano, perché è la storia di un ometto introverso, con un matrimonio infelice e un lavoro che avrebbe potuto diventare qualcosa di importante, ma così non è stato.

Yey, che entusiamo…

Se dovessimo (e non dobbiamo, ma ci piace farlo) trovare un tema psicologico da affiancare a questo libro, proporremmo i Disturbi di personalità. Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), questi disturbi sono caratterizzati da un pattern di comportamenti e atteggiamenti che devia marcatamente dalle aspettative della cultura dell’individuo 1. La persona in questione avrebbe un comportamento che non è consono al luogo e al tempo della sua cultura di appartenenza. È importante sottolineare che ognuno di noi presenta alcuni tratti di quelli che elencherò oggi o in seguito, ma il Disturbo di personalità non è un tratto o una caratteristica, è propriamente una “variante disadattativa” 2 dei tratti di personalità tipici e considerati “normali”. Infatti dobbiamo tenere presente che queste singole caratteristiche vengono riconosciute come disturbanti quando creano un’estrema rigidità caratteriale e quindi disagio emotivo, sociale o affettivo, a chi ne soffre e a chi gli sta intorno.

Preambolo finito, veniamo a noi.

Di questi disturbi ce ne sono tanti, e piano piano proveremo a raccontarvene un po’, ma quello che ci preme più discutere questa volta è il Disturbo evitante di personalità (presente nel Cluster C).

Le persone con un disturbo evitante provano un forte senso di inadeguatezza e sono estremamente sensibili alle valutazioni negative. Si presenta con la stessa frequenza in uomini e donne e si stima che ne soffra il 2,4% della popolazione 3. Questa loro sensibilità porta ad isolamento per timore delle critiche e della disapprovazione 4. La scarsa abilità o piacere a stare in compagnia viene a crearsi dopo, ma quello che impedisce di entrare in relazione con gli altri è un profondo senso di vergogna 3. La percezione di se stessi è tutt’altro che buona: sono persone che si vedono impacciate, socialmente inconcludenti e non attraenti. Insomma vivono un brutto senso di inferiorità rispetto ad altri, e per questo preferiscono stare nascosti. Per evitare critiche e per via della vergogna che proverebbero nel riceverle, stanno alla larga da attività lavorative che prevedono contatti interpersonali (e Stoner che fa?!?) e relazioni intime 2.

Questo porta grande sofferenza. Non stiamo parlando di persone che non vogliono il contatto con gli altri, o non che ne sentono il bisogno. Il fatto è che ne hanno, in qualche modo, paura. Paura del giudizio e paura di non essere apprezzati.

Questo disturbo inizierebbe a notarsi nella prima giovinezza, ma può essere riscontrato anche durante l’infanzia, sebbene la semplice timidezza, che svanisce gradualmente con la crescita, sia molto comune tra i bambini. Durante adolescenza o prima età adulta la socializzazione e i rapporti interpersonali diventano piano piano più importanti, e nei casi in cui la timidezza, invece che svanire, progredisce portando a comportamenti di isolamento e chiusura, allora possiamo iniziare a chiederci come mai.

Un altro paragone che può venire spontaneo è quello con la fobia sociale, che non sarà argomento oggi. Sottolineiamo però, che la fobia sociale porta gli individui a temere le situazioni sociali, mentre nel disturbo evitante questi temono le relazioni sociali: questo porta una lieve differenza di definizione, ma una grande differenza in termini di comportamento e poi di cura.

 

stoner

In questo grafico potete osservare la relazione tra ansia sociale e problemi conseguenti, come evitamento di persone, situazioni e intimità, comparando timidezza, fobia sociale e disturbo evitante di personalità 5.

Non si conosce bene la ragione per la crescita di questo disagio (mi sembra abbiate già capito che questo valga un po’ per tutto), ma secondo le ricerche, lo sviluppo del disturbo evitante può essere attribuito a una varietà di fattori genetici, temperamentali e esperienze infantili 5.

Come ogni volta, ci sarebbero un sacco di cose da raccontare e temo di avervi già preso troppo tempo, ma ci fa sempre piacere quando vi mostrate curiosi/e. Sulla pagina “Psicoleggimi” potete trovare un post che va più in profondità con la narrazione della trama e ci dà degli spunti per delle domande sul disturbo evitante di personalità, che (teoricamente) dovrebbero essere (in parte) risolte con questo articolo.

Vi piacciono questi articoli? Cosa vi farebbe piacere leggere nei prossimi post? Avete qualcosa da aggiungere? Fateci sapere!

Al prossimo appuntamento con #letterapia

Grazie,
Brigitta

 

1nota degli autori del DSM 5: “Si dovrebbe notare che questo sistema di raggruppamento, sebbene utile in alcune situazioni di ricerca e didattiche, presenta serie limitazioni e non è stato coerentemente validato”.

2 DSM 5: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali

3 “La personalità e i suoi disturbi” Vittorio Lingiardi e Francesco Gazzillo (2014)

4  “Psicologia Clinica” Ronald J. Comer, a cura di Antonella Granieri e Francesco Rovetto (2017)

5 Weinbrecht, A., Schulze, L., Boettcher, J. et al. Avoidant Personality Disorder: a Current Review. Curr Psychiatry Rep 18, 29 (2016). https://doi.org/10.1007/s11920-016-0665-6

“Il cardellino” di Donna Tartt e il disturbo da stress post-traumatico

Benvenute e benvenuti al il primo incontro di #letterapia , il progetto di divulgazione scientifica mirato alla conoscenza, alla consapevolezza e all’abbattimento di miti e tabù sulla salute mentale.

Abituati a conoscere o dialogare su un libro sulla base della trama, oggi vedremo “Il cardellino” in chiave diversa, ovvero partendo da un accenno alla personalità del protagonista e da ciò che la scrittrice ha cercato di comunicarci, in modo più o meno velato, sulle conseguenze di un trauma.

Il protagonista del libro è Theo, un bambino, poi ragazzo e poi uomo, che perde la madre in un attentato in una galleria d’arte. Perché si trovassero in quel luogo, in orario scolastico e in un giorno lavorativo, sarà uno dei molti pensieri ricorrenti del nostro protagonista.

Ecco qua il nostro primo indizio per oggi: i pensieri ricorrenti. Altra parola evocativa per descriverli è “intrusivi”. Pensieri involontari, spiacevoli, che possono nascere per motivi diversi, a seconda della situazione. Nel nostro caso, nascono da un trauma.

Ma che cos’è un trauma?

In psicologia e in psicanalisi è un turbamento dello stato psichico, prodotto da un avvenimento dotato di notevole carica emotiva, ed è quindi successivo ad esperienze e fatti tristi, dolorosi, negativi1. È palese che Theo, da bambino, abbia vissuto un grande trauma, dove per di più ha subito la perdita della madre (e come se non bastasse gli capitano pure altre cose, ma leggetevi il libro). Lasciamo ora da parte la storia, evitiamo spoiler e iniziamo ad addentrarci nel cuore dell’argomento di oggi: il Disturbo da Stress Post-traumatico (di cui Theo soffre di brutto, spoiler-non-spoiler).

Per la quinta versione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5) il trauma è un evento che espone la persona a morte o ad una minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:

1) fare esperienza diretta dell’evento

2) assistere a un evento traumatico accaduto ad altri

3) venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a un membro della famiglia oppure a un amico stretto. In caso di morte o minaccia di morte, l’evento deve essere stato di natura accidentale o violenta;

4) fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi dell’eventi traumatico (es: primi soccorritori, agenti di polizia …)

Rientrano in questa categoria: abuso sessuale, aggressione, lutto, incidente, malattia, calamità naturali1,2. Quest’ultima frase è importante, perché la definizione non riguarda solo incidenti o catastrofi, ma anche cose che sembrano più “naturali” e comuni alla maggior parte di noi, come lutti o malattie. Ed è giusto sottolinearlo anche qui.

Ciò che porta “cucito addosso” un soggetto con DSPT (usiamo le sigle che fanno figo) sono incubi, flashback, reazioni fisiche come nausea, affanno, sudorazione, evitamento di ciò che fa ricordare l’evento – anche la frequentazione di un luogo, per esempio -, pensieri negativi, umore irritabile, incapacità di provare piacere, difficoltà a dormire, senso di colpa per essere sopravvissuti al posto di qualcun’altro e iper-reattività (come avere reazioni sproporzionate). I bambini invece, tendono a rivivere l’evento con giochi di ruolo, disegni e racconti.

Se vi sembra una tematica lontana, quasi di nicchia e anni luce da noi, ora vi dico un po’ di dati che vi faranno ricredere.

In Europa si stima che il 63,6% della popolazione abbia vissuto almeno un esperienza traumatica, tra cui gli uomini più comunemente delle donne (67% rispetto al 60%) e si stima che la prevalenza del DSPT nella popolazione vari tra l’ 1,1% e il 2,9% 3. Sembra una percentuale bassa? Vedetela così: su 100 persone che conoscete, 1,2 o 3 persone hanno subito un trauma che faticano a superare, vivendo alcuni dei sintomi riportati sopra. Le donne tendono a sviluppare DSPT in misura doppia rispetto agli uomini5  e in uno studio italiano, su un campione di 1961 donne è stata riscontrata la sintomatologia tipica nel 1,3% dei casi4.

Abbiamo visto che il 63,6% circa viene esposto ad eventi traumatici, ma per fortuna non tutti sviluppano il disturbo. Come mai in alcuni casi si, e in altri no?

La risposta alla domanda da un milione di dollari è che può accadere per molti motivi diversi. In altre parole: è multifattoriale. Insomma, è una fregatura bella e buona.

Ovviamente la gravità del trauma è un fattore da tenere in considerazione, ma ricordiamoci sempre che ciò che è grave per noi potrebbe non esserlo per qualcun altro, e viceversa. In molti casi un disturbo da stress psicologico può mostrarsi dopo l’alterazione della normale attività di due aree molto importanti che si trovano nel nostro cervello: ippocampo e amigdala. Ora non parleremo delle attività specifiche di queste strutture, ma è bene sapere che sono molto coinvolte nella regolazione dello stress, nella formazione dei ricordi e nella risposta alla paura. Tutti ingredienti che, come abbiamo visto, caratterizzano la formazione del DSPT. È quindi possibile che “anomalie” a livello cerebrale possano rendere una persona più sensibile a questo disturbo. Tutto questo può, in alcuni casi, essere accentuato da esperienze infantili negative, come violenza domestica, separazioni o divorzi difficili, abusi o scarsa capacità di adattamento alle novità5.

Il tutto potrebbe essere evitato, da principio, con una buona dose di legami familiari e amicali solidi, che dall’alba dei tempi sembrano proteggere la salute mentale… Fosse così facile! Sul vademecum per il buon cittadino sano, equilibrato e felice, magari ne parliamo un altro giorno.

Per adesso va bene così, ci lasciamo, magari più curiosi, e soddisfatti di essere venuti a conoscenza di qualcosa di nuovo. Il nostro obiettivo è di utilizzare questa rubrica come reciproco scambio, di opinioni, esperienze e sensazioni riguardo tematiche di cui non sempre sembra naturale parlare. Rendiamo semplice e soprattutto fruibile qualcosa di spaventoso e complesso.

Spero vi piaccia, a presto

B.

 

 

1 https://www.aisted.it/trauma

2 Mini Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (DSM-5)

3 “Post-Traumatic Stress Disorder”, a cura di Charles B. Nemeroff e Charles Marmar

4 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6416466/

5 “Psicologia Clinica” Ronald J. Comer, a cura di Antonella Granieri e Francesco Rovetto

6 https://emdr.it

La lunga strada per emergere

«Nella stessa sala però c’era un altro quadro – oh, era per quello che era corsa di sopra tanto in fretta! Era il suo quadro. Immaginava che essendo l’unica ad averlo a cuore, lui l’aspettasse. Quello sì che era bello. Le piaceva anche il titolo, Il canto dell’allodola. La campagna piatta, la luce del primo mattino, i campi bagnati, l’espressione della ragazza sul viso spigoloso: be’, erano tutti suoi, comunque, qualsiasi cosa racchiudessero. Si diceva che quel quadro era “giusto”. Cosa intendesse con questo, dovrebbe spiegarlo una persona molto intelligente. Ma per lei quella parola racchiudeva la soddisfazione quasi sconfinata che provava osservandolo».

La scalata al successo non è mai facile. Ci sono sempre tante difficoltà che s’incontrano sul proprio percorso, soprattutto se si viene da una condizione sociale bassa.

‘Il canto dell’allodola’ di Willa Cather, edito Fazi Editore, narra l’ascesa di Thea Kronborg, figlia di un predicatore metodista di origine svedese, che da una cittadina del Colorado riesce ad arrivare a calcare tutti i palchi più importanti nel mondo operistico. Il romanzo copre gli anni che vanno da fine XIX secolo fino al 1909. Il lettore vede costruirsi il personaggio di Thea, man mano che lei cresce.

All’inizio della narrazione, la protagonista ha 10 anni ed è ammalata, ma il dottor Archie, un caro amico di famiglia e l’unico medico della cittadina dove vive la famiglia del predicatore, va a visitarla e inizia a invaghirsene. Thea è soltanto una dei tanti figli del predicatore, quindi non ha una vera infanzia perché, per alleggerire le incombenze della madre, deve sempre badare agli ultimi nascituri. Nonostante ciò, Thea non rinuncia alle esperienze e alla curiosità tipiche della sua età. Non ha paura di andare presso le dune che circondano il deserto o di visitare la ferrovia della cittadina. La madre di Thea capisce subito che la figlia è portata per la musica, quindi decide di mandarla a lezione da Wunch, un precettore di musica tedesco che si dedica troppo spesso ai vizi dell’alcol. Anche il maestro di musica di Thea si accorge che lei ha qualcosa di profondo da esprimere, sente che la voce della ragazza è rara da trovarsi. Dopo vari eventi che aiutano Thea a lasciare la cittadina di Moonstone, finalmente, riesce ad andare a Chicago a studiare musica da professionisti qualificati. All’inizio, venendo da una piccola cittadina, la ragazza è spaesata e frustata. Non riesce a trovare un impiego che la mantenga e neanche un alloggio. Thea ha un obiettivo e per nulla al mondo si lascia sopraffare dagli eventi. Dopo un lungo e tormentato percorso, riesce a ottenere i primi risultati significativi. Inizia la sua lenta ascesa, come una delle più grandi interpreti del suo secolo.

Lo stile di Willa Cather , che già avevo amato ne ‘Il mio mortale nemico’, questa volta, non mi ha fatto impazzire. L’ho trovato senza infamia e senza lode. Mi è mancato il dinamismo che avevo tanto apprezzato nell’altra sua opera. Secondo me, anche la struttura è sbilanciata: la Cather dà molto peso all’infanzia e adolescenza della protagonista, senza poi approfondire la sua ascesa. Ho dovuto aspettare trecento pagine per capire meglio Thea, infatti, all’inizio, non ci riuscivo perché mi sembrava opaca.

«Ma se la guardi da un altro punto di vista, a questo mondo ci sono molti omuncoli che aiutano i vincitori a vincere e i perdenti a perdere. Se uno inciampa, c’è un mucchio di gente che gli dà una spinta per farlo cadere. Ma se è il giovane “dello stendardo Excelsior”, quella stessa gente è predestinata ad aiutarlo sulla via del successo. Può odiarlo più degli incendi, può stramaledire di aiutare il vincente ma deve farlo e non sa sottrarsi. È una legge naturale, come quella che tiene in moto il grande orologio del cielo, le rotelle piccole e le grandi, senza mai sbagliarsi».

Se Thea l’ho trovata opaca, così non è stato per i personaggi secondari, anzi. Fin dalle presentazioni del dottor Archie o dei vari maestri di musica, la Cather, con poche frasi, riesce a rendere sia il carattere sia L’esteriorità di chi sta presentando. Un altro aspetto molto interessante è l’uso di inserti in altre lingue e di sgrammaticature. Praticamente, in tutto il libro, i personaggi veramente americani sono due: il dottor Archie e Ray Kennedy. Tutti gli altri sono o immigrati o figli di immigrati, come Thea. La Cather decide di rendere il più fedelmente possibile il loro modo di esprimersi e di relazionarmi con gli altri e il mondo.

Sebbene non mi abbia emozionato, è un bel libro e si legge con piacere. Tuttavia, come primo approccio, vi consiglio ‘Il mio mortale nemico’.

A presto,

J.

Titolo: Il canto dell’allodola

Autore: Willa Cather

Casa editrice: Fazi editore

Numero pagine: 573

Prezzo: 18,50€