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Witold Gombrowicz: la difficoltà di essere polacco.

Witold Gombrowicz è stato uno degli autori più importanti del Novecento. Il suo stile allucinato/ossessivo, infatti, ha portato a definire la sua letteratura come “ossessiva”. Dopo la sua riscoperta avvenuta nel 1957, inizia a essere stimato da vari intellettuali europei e raggiunge un successo di pubblico straordinario.

Si tratta di un’opera appartenente alla produzione del secondo dopoguerra. È stata fortemente criticata per la sua carica satirica, a tratti quasi sardonica.  Nel 1957, durante il disgelo dovuto alla destalinizzazione, molte opere di Gombrowicz furono ripubblicate e tra queste figura anche “Trans-Atlantico”. L’autore fu costretto a mettere una prefazione per spiegare le intenzioni di quest’opera.

In essa scrive:

“Si tratta di un’opera che riguarda la Nazione, mentre la nostra mentalità, in esilio o in patria, non si è sufficientemente liberata, continua ad essere contorta, e persino manierata… Semplicemente, non sappiamo leggere i libri che trattano questo argomento. È tutt’ora troppo forte il nostro complesso polacco, e le tradizioni pesano eccessivamente su di noi.”

 

“Trans-atlantico è  una nave corsara che contrabbanda un forte carico di dinamite, con l’intento di far saltare in aria i sentimenti nazionali finora vigenti da noi.”

 

“La cosa più importante: conquistiamoci la libertà nei confronti della forma polacca; pur restando polacchi, cerchiamo però di essere qualcosa di più ampio e di superiore al  polacco!”

 

“Può l’arte essere trattata come un compito su un argomento dato? (…) No, Trans-Atlantico non contiene alcun tema imposto,  all’infuori  della storia che vi è narrata. Non è altro che un racconto, un mondo raccontato – il quale avrà una validità soltanto a condizione di apparire allegro, multicolore, rivelatore e stimolante – qualcosa insomma che luccica, che brilla e che rispecchia una moltitudine di significati.”

 

G3

 

Trama

Il romanzo comincia il 21 agosto 1939, quando Gombrowicz (personaggio fittizio) si trova ad accompagnare una delegazione di personalità polacche importanti in visita ai compatrioti che vivono in Argentina.  La notizia dell’invasione nazista dell’1 settembre coglie tutti di sorpresa, infatti sono tutti meravigliati, ma pronti a tornare in Europa il più presto possibile per aiutare il governo polacco in esilio a Londra. L’unico che vuole restare in Argentina è il protagonista. Partirebbe volentieri per la Polonia, ma dirigersi in Inghilterra significherebbe andare in esilio, quindi decide di restare in Argentina,  fuggendo alla chetichella dalla nave che l’ha accompagnato dalla Polonia.

“Me ne scesi lungo la passerella e presi ad allontanarmi. E mi allontanavo. E non mi passava per la mente di voltarmi. Mi allontanavo e ignoravo quel che era alle mie spalle. Mi allontanavo calpestando la ghiaia del viale ed ero già un bel po’ lontano. Solo dopo essermi  parecchio allontanato, mi fermai e mi voltai, ecco la nave, ormai distaccata dalla banchina, ferma in mezzo all’acqua; pesante era, e tozza.” 

Fuggito dall’imbarcazione, si trova a dover capire come sopravvivere in una città sconosciuta, dove trovare un forma di sostentamento , per questo motivo  si rivolge ad un amico di famiglia che dà consigli contraddittori.

“«(…) frequenta gli Stranieri, fuggi, dileguati in mezzo a loro, e che Dio ti guardi dal frequentare la Legazione e anche dai Compatrioti, sono Cattivi, Malvagi, un vero flagello di Dio, non faranno altro che darti addosso, ti sbraneranno.» ”

Dopo il colloquio , Gombrowicz  è combattuto e non sa se andare oppure no alla Legazione polacca in Argentina.

“Cosa ci vado a fare alla Legazione, non ci vado per niente, io, alla Legazione, il ronzino era malandato, che crepi! (…) non mi ci vado ad immischiare, non sono affari miei, se devono agonizzare, che agonizzino.”

È sempre più combattuto, ma pensando a ciò che sta succedendo in Europa decide di varcare la soglia.

“Ah, no, no, Gombrowicz non si sarebbe inginocchiato davanti all’altare tetro, oscuro, persino Folle (ma laggiù Picchiavano), no, no, non ci sarei andato, chissà cosa mi avrebbero fatto (ma laggiù Sparavano), no, non ci sarei andato, era una storia scadente, non valida (ma laggiù Ammazzavano, Ammazzavano!). E così intriso nell’Ammazzamento, nel sangue, sommerso dalla Battaglia, varcai la soglia della Legazione.”

Una volta entrato, chiede di essere ricevuto dal ministro, ma viene subito fermato da un consigliere e inizia una querelle grottesca in puro stile gogoliano. Alla fine,viene ricevuto dal Ministro che gli offre cinquanta pesos, G. capisce che vogliono sbarazzarsi di lui con pochi spiccioli, poiché non vogliono die letterati alla Legazione, decide di provare il tutto per tutto:

Vedo che agli occhi di Vostra Eccellenza debbo essere apparso molto spicciolo, (…) e immagino che Ella mi abbia incluso tra diecimila altri letterati; mentre io non sono soltanto un letterato, bensì anche Gombrowicz!”.

Il ministro, fiutando l’occasione, accetta di dargli una somma più alta , ma gli chiede di decantare i polacchi, così facendo anche lui sarà glorificato come letterato patriota.

“ E’ un onore per noi! Un onore ospitare un Grande Scrittore Polacco, forse il Sommo! È un Grande Scrittore nostro, fors’anche un Genio! Cosa stai a stralunare gli occhi, Sroka, saluta il Grande Stronzo, volevo dire il nostro Genio!”

Il protagonista si ritrova in una situazione spiacevole perché si trova ad essere una marionetta per il ministro, arrabbiato inveisce :

” Maledetto Ministro di merda che non rispetta il proprio Popolo! Maledetto Popolo che non rispetta i propri Figli! Maledetti l’uomo e il popolo che non si rispettano a vicenda!”

Per puro caso, uscendo dalla Legazione, incontra l’amico di famiglia. I due iniziano a passeggiare e  si imbattono nel Barone che invita Gombrowicz ad andare all’azienda equina e canina gestita da lui e altri due personaggi : Pyckal  e  Ciumkala. I tre dipendenti si odiano profondamente per vecchi torti che si sono fatti a vicenda, ma non riescono più a vivere separati l’uno dall’altro: sono diventati un tutt’uno.
Inizia un putiferio per capire chi è il migliore e il più degno tra i tre e in quale gerarchia devono essere grattati e chi deve grattare chi.

Gombrowicz non è contento della fama che, suo malgrado, ha acquisito e ,non riuscendo  più a vivere in modo ritirato, capisce che gli elogi e gli omaggi tributati alla sua persona sono puramente di facciata e decide di accettare tutto, ma non fa sconti a nessuno :

” Volevate fare i furbi e i saputi, illustri stronzi miei, e come tante galline cercavate di beccare solo la propria convenienza. Io invece avrei accettato secondo la mia natura tutto ciò che sarebbe stato concepito dalla vostra natura, ottusa e furba, e se mi aveste nutrito con la merda, io l’avrei mangiata come se si trattasse di Pane e Vino, e avrei pure mangiato fino a sazietà.”

Il ministro e gli altri organi della Legazione lo obbligano a presenziare ad una serata in suo onore, dove gli invitati non sono tanto interessati a ciò di cui si parla, ma alla propria apparenza. Sono ossessionati dalle calze e dai cappelli che indossano. Nessuno pare accorgersi della presenza dello scrittore polacco e i suoi sostenitori pretendono  che si ingegni a far qualcosa per attirare l’attenzione. Appena cerca qualche spunto per entrare in scena, compare un grande scrittore argentino (Borges) e i due ingaggiano una sfida a chi dice l’arguzia più arguta. Il vero argomento di discussione sono quisquilie che vengono spacciate per temi di grande importanza – satira del bel mondo che non si accorge che è tempo per discorsi più seri.  Gombrowicz viene sconfitto dall’autore argentino e, per calmare la propria rabbia, inizia a camminare per tutta la sala in maniera ossessiva, tutti gli invitati sono spaventati dal suo incedere minaccioso. Tenta di prendersi una rivincita in questo modo, ma qualcun altro inizia a copiarlo e camminare come lui.

Amareggiato e sconfitto, decide di fuggire dal ricevimento e inizia a camminare per le strade di Buenos Aires , ma viene seguito dall’uomo che aveva copiato il suo incedere. Iniziano a parlare e Gombrowicz si trova ad avere a che fare con Gonzalo, un nobile  omosessuale argentino, chiamato con disprezzo “puto”, che lo ammira e lo venera come scrittore.

Il narratore inizia a descrivere Gonzalo, come un adescatore di giovani con i quali, però, non va mai al sodo perché è spaventato dalla prigione e dall’arrivismo dei possibili amanti.

“Nonostante il desiderio lo accecasse, la paura era più forte del desiderio.”

Passeggiando per un parco, incontrano un padre e un figlio che stanno entrando in una birreria e Gonzalo rivela a G. che da un po’ aveva già messo gli occhi sul ragazzo, quindi gli chiede di approcciarlo visto che sono entrambi polacchi, anche se schifato, accetta.  Appena tenta di andare a parlare con la coppia, si ritrova il terzetto composto da Pyckal,  dal Barone e da Ciumkala che lo inseguono anche nel vespasiano e tentano di rifilargli i loro soldi come dono al grande genio nazionale, ma, dietro a questa azione, si nasconde un sordido tornaconto, in quando i tre vogliono ingraziarsi ,attraverso questa mazzetta, Gonzalo.

Tornato nella sala, riesce ad approcciare la coppia e scopre che si tratta di un maggiore polacco, Tomasz e di suo figlio Ignac. Inizia un’altra querelle perché Gonzalo inizia a brindare alla salute di Ignac e il terzetto, a sua volta, brinda alla salute di Gonzalo. confuso da questo gioco di specchi, Tomasz si offende per il brindisi di uno sconosciuto alla propria salute e inizia a fronteggiare Gonzalo vietandogli di onorarlo. G. si trova preso tra due fuochi perché sa quali sono le intenzioni del suo amico, ma sa anche che non può sottrarsi al suo compito. Cerca di avvertire Tomasz, ma invano.

Ahi, Gombrowicz, Gombrowicz, dove è andata a finire la tua grandezza e la tua celebrità; sei Celebre, ma anche Ruffiano, Grande, ma anche amico di un Filibustiere, e tutto ciò con il nocumento di un compatriota, anima nobile e buona, e del di lui Figlio, giovane e gentile.”

Tomasz, sentendosi offeso nell’onore, sfida a duello Gonzalo e chiede a G. di recapitargli la sua decisione. Il nostro protagonista adempie alla richiesta, avvertendo Gonzalo delle serie intenzioni del maggiore. L’amico gli chiede di tradire il proprio compatriota in nome di un nuovo ideale – La Figliatria.

Gombrowicz , coniando questo termine, satireggia la condizione della Polonia che, piuttosto che aprirsi al cambiamento, è pronta a far  morire la propria prole. Con la Figliatria si avrà un periodo nuovo per la storia polacca con  possibilità mai avute prima. Pian piano, nel corso del romanzo, la figliatria diventa una fissazione per G.

Gonzalo chiede anche di inscenare un finto duello per far contento Tomasz, infatti nessuna delle due pistole sarà carica e gli sfidanti spareranno a vuoto.  In qualità di padrini , sceglie Pyckal,  il Barone e Ciumkala che riceveranno una ricompensa, se staranno al gioco.

Lo scrittore polacco viene convocato alla Legazione dal Ministro perché gli è arrivata voce del duello imminente. Tutti i presenti alla Legazioni sono inorgogliti dalla prospettiva di mostrare agli stranieri che cosa vuol dire il coraggio polacco. Decidono, in un crescendo di patriottismo, di organizzare un pranzo alla Legazione e di invitare gli argentini al duello, tutto ciò viene messo a verbale dallo scriba del Ministro. Sorge un problema – come si fa invitare a un duello degli sconosciuti? Non trovando risposta e essendo ormai messo agli atti l’invito al duello, si escogita di mettere in scena una battuta di caccia fasulla. Questo espediente viene trovato per risolvere e stemperare la paura di una burocrazia fagocitante.

Il protagonista inizia a sentire un senso di vuoto che permea ogni suo gesto, in quanto si è capito che ormai la Polonia è perduta sotto l’occupazione tedesca. Questo sentimento continuerà a permearlo ,per tutto il seguito della storia, fino all’epilogo.

(…) vani i progetti, vane le intenzioni e le decisioni, quando l’uomo  subisce l’umana costrizione, quando è smarrito negli uomini come in una foresta piena d’ombre.”

“Il vuoto in me e di fronte a me… gridai: «Dio, Padre misericordioso, abbi pietà di noi!» “.

Si arriva al giorno del duello, è tutto pronto e si inizia a sparare a vuoto. Dopo svariati tentativi per terminare il duello, G. capisce che non è possibile concluderlo perché si può continuare all’infinito a sparare senza alcun risultato. La situazione è risolta dalla confusione che sopraggiunge quando i cavalli del Barone e di Pyckal si mordono a vicenda, suscitano l’arrivo dei cani della battuta di caccia fasulla che iniziano ad attaccare Ignac. Il ragazzo viene salvato da Gonzalo, che eroicamente si getta sui cani e li strappa dal corpo di Ignac. Questo salvataggio porta alla riconciliazione tra i due sfidanti e, come atto di gentilezza, Gonzalo invita Tomasz e Ignac a seguirlo nella sua magione.

Durante il viaggio, G. tenta di avvertire nuovamente Tomasz del fatto che Gonzalo vuole prendere suo figlio come amante. Non appena arrivati alla villa di Gonzalo, trovano un sontuoso palazzo pieno di servitù composta esclusivamente da giovani, uno di loro, Orazio, ha il compito di far fare bella figura al padrone di casa.

Gombrowicz è sempre più turbato dal suo ruolo nell’intera faccenda, si sente un traditore e percepisce sempre di più il senso di vuoto:

“ Fui dunque colto da un Forte Panico, ma vuoto completamente anch’esso. Percepii allora la più strana sensazione, non era infatti la paura a spaventarmi, bensì il Vuoto della mia Paura, non più la Paura stessa, bensì la Paura per l’assenza della Paura.”

Preso dallo sconforto, decide di rivelare la verità a Tomasz, il quale, sconvolto , decide di vendicarsi di Gonzalo e del proprio figlio sopprimendolo.  Gombrowicz sente un’affinità con il maggiore perché capisce che anche lui sente il senso di vuoto.

Tornando alla Figliatria, Gombrowicz aveva acconsentito di aiutare Gonzalo perché sa che Tomasz, volendo arruolare il figlio nell’esercito polacco, lo avrebbe condannato a morte certa.  G. si sente diviso tra due mondi: paterno e filiale. Vorrebbe essere imparziale, ma non riesce a scegliere da che parte stare.

Gonzalo, nascostosi dietro alla porta, sente il colloquio che hanno avuto Tomasz e G. e avverte il protagonista che Ignac è risoluto nel voler ammazzare il padre. G. non capisce più nulla ed è in balia della confusione generale.

Possibile che dovesse essere eternamente il Padre a sgozzare il Figlio? Non sarebbe mai venuto il giorno in cui il Figlio avrebbe sgozzato il Padre?”

G., attraversando un corridoio, si ritrova a dover scavalcare dei ragazzi nudi che vi stanno dormendo, arrabbiato da ciò inizia a sputare su di loro, ma ,riflettendoci, si chiede se non sia il godimento a spingerlo a fare ciò. Questo episodio  può essere visto come una metafora dei padri che sputano sui cadaveri dei figli

Il giorno dopo si ritrovano tutti in cortile e Ignac, Gonzalo e Orazio iniziano a giocare alla pelota. Proprio in questa parte Gombrowicz dà il meglio di sé usando la sperimentazione linguistica che lo contraddistingue. Questa volta i termini ripetuti con ossessività sono due: Bum e Bam. Queste onomatopee riprendono  i suoni del gioco alla pelota, infatti l’autore conia termini come: “Bumbamavano” e “Bumbamando”.

Passeggiando per la tenuta, G. viene assalito dal Barone e dai suoi compari, i quali lo tramortiscono con uno sperone.  Risvegliatosi in uno scantinato, trova tutti gli impiegati dell’ufficio della società canina e equina che portano uno sperone sulle scarpe. Non capisce cosa sta succedendo e perché ci si infilzi a vicenda. Entra in scena il contabile che investe  Gombrowicz – cavaliere dello sperone, una sorta di ordine cavalleresco nel quale bisogna osservare tutti gli altri ordinati e, ad ogni trasgressione o minimo tentativo di ribellione, speronare il proprio compagno/a.

La ragione per la creazione di questa setta è lo sconforto dovuto alle notizie che arrivano dalla Polonia inavasa. Il contabile, in un estremo atto d’amore nei confronti della patria, decide di instaurare la paura dello sperone.

“Tutto per vincere la nostra sorte maledetta, e per violentare e modificare l’ostilità della natura. (…) Mi avventerò contro la Natura, la violenterò, la vincerò, la Terrorizzerò, affinché la nostra sorte possa cambiare… Ah, poter violentare la Natura, violentare la Sorte, violentare se stesso e Dio Onnipotente! Nessuno infatti avrà mai paura della nostra Bonarietà, dobbiamo essere Tremendi!”

 

Il protagonista capisce l’insensatezza del piano del contabile e decide di tendere un tranello reggendogli il gioco. Anzi, sembra uno dei più convinti sostenitori dell’ordine dello sperone. Propone di smetterla di infilzarsi  e di focalizzare il terrore su un’Impresa da compiersi, che dev’essere priva di motivi e di ragioni d’essere, utile solo per creare il terrore e l’orrore. Tutti sembrano entusiasti, quindi decidono di partire alla volta della magione di Gonzalo, ma, durante la cavalcata, G. pungola con lo sperone il cavallo del contabile che viene disarcionato e portato via dal proprio destriero imbizzarrito. Raggiunta la villa, sorprende Gonzalo sempre più prossimo nel raggiungere il proprio scopo. È spaventato e orripilato dalla possibilità di un assassinio perché ha notato che Orazio e Ignac hanno raggiunto un armonia perfetta tra i loro movimenti e i suoni che producono (Bum e Bam).

“«Quali sono le tue intenzioni?»

«Bumbam!» gridò. «Bumbam, Bumbamando!»

«Che dici? Che stai dicendo?»

«Bumbam ,Bumbam, Bumbamando, Bumbamando!» ”.

 

Gonzalo dà una festa dove invita tutte le personalità di spicco della comunità polacca, si inizia a bere e a ballare. Gombrowicz percepisce che qualcosa di terribile accadrà e teme per le vite di Tomasz e di Ignac. Uscendo a fare due passi, incontra una strana bestia non ben identificata, ma che si rivela essere il Barone a cavallo di Ciumkala, i quali sono giunti con il contabile per terrorizzare gli invitati alla festa. Lo scrittore spaventato corre verso casa e spranga tutte le porte, ma non si accorge che sta per compiersi l’irreparabile. Quando giunge il momento di uccidere il padre, Ignac non porta a termine il suo compito e scoppia a ridere. Tutta la sala inizia a ridere.

Questa storia allucinata e allucinante termina con una fragorosa risata che spazza via tutto: la follia, la paura e il vuoto.  L’autore afferma:

È la risata che ci tira fuori di noi stessi e consente alla nostra umanità di sopravvivere indipendentemente dai dolorosi mutamenti che subisce il nostro involucro esteriore”.

Jaro

 

 

 

 

 

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