“Hai detto che avevi un’idea in testa…”
“Una grande idea”
“Sentiamo”
“Sarai d’accordo che per la maggior parte di noi il problema della dipendenza è rappresentato dalle conseguenze finanziarie” inizia Pablo.
“Eh sì! Esattamente. Essere dipendente non mi fa stare male. Sono dipendente, tutto qui. Il problema è permettersi i mezzi per la propria dipendenza”.
“Ma qual è la tua idea? Rapiniamo un banca? Non sarebbe una cattiva idea… Al punto in cui sono, sono pronto a tutto pur di rifarmi. Ma non ho esperienza di rapine.”
“No. Formiamo una squadra.”
Quando leggerete “Astenersi Astemi” di Héléna Marienské troverete questa frase sulla quarta di copertina e rimarrete stupiti come è successo a me. Perché le cose che non tornano in questa frase sono tante. Eppure è proprio così. L’autrice ci mette davanti personaggi decisamente disfunzionali singolarmente, che diventano ancora peggio quando si riuniscono. La parte divertente è che inizialmente questo volerli riunire aveva uno scopo benevolo, uno scopo curativo, terapeutico.
Il libro si apre con Clarisse, psicologa e terapeuta di gruppo che scrive ad un latitante collega delle sue idee per una nuova terapia. Vuole provare ad uscire dagli schemi e non svolgere più terapie di gruppo formate da patologie “omogenee”, ma variare e far incontrare tra loro pazienti che soffrono per motivazioni che, secondo lei, hanno meno in comune. Decide così di non fare un gruppo per le tossicodipendenze, uno per lo shopping compulsivo, uno per sexual addicted, uno per il gioco d’azzardo (gambling) e uno per l’alcol e così via, ma di prendere invece una persona da ognuno di questi gruppi e farne uno a se stante. Un gruppo in cui il gambler potrà conoscere la compratrice compulsiva o l’alcolista, in cui una ragazzina con dipendenza da stupefacenti può incontrare un uomo con “ipersessualità”.
Insomma, un pot-pourri. La nostra Clarisse ha tanti buoni propositi, ma scorrendo le pagine la nostra fiducia verso di lei verrà sempre meno perché il gruppo instaurerà delle dinamiche di polidipendenza, una parola che fa strabuzzare gli occhi al primo sguardo e che in pratica significa che l’alcolista magari si scopre una grande giocatrice di poker, e chi prima si sentiva soddisfatto solo dal sesso ora non disdegna la cocaina. Un disastro, ma non per loro, che non sono mai stati così felici e soddisfatti.
Il motivo per cui sono qui a scrivere è per il nostro quarto incontro di Letterapia, dove io e le amorevoli colleghe Flavia, Manuela, Valeria e Cristina ci occupiamo di divulgazione a temi psy partendo da libri più o meno conosciuti. Oggi come avrete capito il tema sono le dipendenze, ma ho deciso di cambiare un po’ registro e parlarvi di cose più tecniche, più “visibili” (anche se non ad occhio nudo…).
Il circuito della ricompensa
James Olds e Peter Milner nel 1954 scoprirono che i ratti possono premere una leva centinaia o migliaia di volte all’ora per ottenere una stimolazione cerebrale nelle zone che ora chiamiamo “circuito della ricompensa”, fermandosi solo quando sono esausti. Il comportamento del premere la leva non ha nessun valore per la sopravvivenza di se stessi o della specie, è un comportamento di puro piacere, ed è questo che ha incuriosito i ricercatori.
Il sistema di ricompensa ora è conosciuto come un gruppo di strutture neurali responsabili della motivazione, dell’apprendimento associato con sensazioni piacevoli o spiacevoli, e delle emozioni positive che coinvolgono in particolare il piacere come componente fondamentale (ad esempio euforia ed estasi).
Il piacere è un’importante componente della ricompensa, ma non tutte le ricompense sono direttamente piacevoli (ad esempio, il denaro non suscita piacere se non collegato alla possibilità di poter acquistare qualcosa)1. Gli stimoli che sono naturalmente piacevoli sono noti come ricompense intrinseche (che vengono da “dentro”), mentre gli stimoli che motivano il comportamento di avvicinamento, ma non sono piacevoli di per sé, sono definiti ricompense estrinseche (da “fuori”)1. Il denaro è una ricompensa estrinseca che risulta gratificante come risultato di un’associazione appresa con una ricompensa intrinseca (acquistare sostanze, alcol, abbigliamento, o giocare, sono tutte attività che creano piacere intrinseco)1. Insomma, le ricompense estrinseche funzionano come calamite motivazionali che suscitano reazioni di volontà, come “bene, adesso ho voglia di…”, ma non direttamente di piacere, come “aah che piacere/che soddisfazione“1.
Nel caso del nostro libro, Astenersi Astemi, il denaro funzionava da ricompensa estrinseca, come unico mezzo per raggiungere una vita felice, una vita in cui i protagonisti erano liberi di godere delle loro ricompense intrinseche: il cervello dei protagonisti, il cui circuito della ricompensa era già stato notevolmente messo alla prova, sicuramente sarà molto confuso da tutte queste attivazioni e iper-stimolazioni…
Per qualunque informazione aggiuntiva potete leggere il libro (consigliato), chiedere a noi (va bene anche questo) e leggere gli articoli citati.
Alla prossima #letterapia 😉
Brigitta
1 Schultz W, Neuronal reward and decision signals: from theories to data (PDF), in Physiological Reviews, vol. 95, n. 3, 2015, pp. 853–951, DOI:10.1152/physrev.00023.2014. URL consultato il 27 novembre 2016.
2 Berridge KC, Kringelbach ML, Pleasure systems in the brain, in Neuron, vol. 86, n. 3, maggio 2015, pp. 646–664, DOI:10.1016/j.neuron.2015.02.018, PMC 4425246, PMID 25950633.