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Stoner e il Disturbo evitante di personalità

Quando mi chiedono di consigliare un libro, Stoner di John Williams è quasi sempre tra i primi. Non conosco una persona a cui non sia piaciuto, o che non ne sia rimasta affascinata in qualche modo.

Ed è strano, perché è la storia di un ometto introverso, con un matrimonio infelice e un lavoro che avrebbe potuto diventare qualcosa di importante, ma così non è stato.

Yey, che entusiamo…

Se dovessimo (e non dobbiamo, ma ci piace farlo) trovare un tema psicologico da affiancare a questo libro, proporremmo i Disturbi di personalità. Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), questi disturbi sono caratterizzati da un pattern di comportamenti e atteggiamenti che devia marcatamente dalle aspettative della cultura dell’individuo 1. La persona in questione avrebbe un comportamento che non è consono al luogo e al tempo della sua cultura di appartenenza. È importante sottolineare che ognuno di noi presenta alcuni tratti di quelli che elencherò oggi o in seguito, ma il Disturbo di personalità non è un tratto o una caratteristica, è propriamente una “variante disadattativa” 2 dei tratti di personalità tipici e considerati “normali”. Infatti dobbiamo tenere presente che queste singole caratteristiche vengono riconosciute come disturbanti quando creano un’estrema rigidità caratteriale e quindi disagio emotivo, sociale o affettivo, a chi ne soffre e a chi gli sta intorno.

Preambolo finito, veniamo a noi.

Di questi disturbi ce ne sono tanti, e piano piano proveremo a raccontarvene un po’, ma quello che ci preme più discutere questa volta è il Disturbo evitante di personalità (presente nel Cluster C).

Le persone con un disturbo evitante provano un forte senso di inadeguatezza e sono estremamente sensibili alle valutazioni negative. Si presenta con la stessa frequenza in uomini e donne e si stima che ne soffra il 2,4% della popolazione 3. Questa loro sensibilità porta ad isolamento per timore delle critiche e della disapprovazione 4. La scarsa abilità o piacere a stare in compagnia viene a crearsi dopo, ma quello che impedisce di entrare in relazione con gli altri è un profondo senso di vergogna 3. La percezione di se stessi è tutt’altro che buona: sono persone che si vedono impacciate, socialmente inconcludenti e non attraenti. Insomma vivono un brutto senso di inferiorità rispetto ad altri, e per questo preferiscono stare nascosti. Per evitare critiche e per via della vergogna che proverebbero nel riceverle, stanno alla larga da attività lavorative che prevedono contatti interpersonali (e Stoner che fa?!?) e relazioni intime 2.

Questo porta grande sofferenza. Non stiamo parlando di persone che non vogliono il contatto con gli altri, o non che ne sentono il bisogno. Il fatto è che ne hanno, in qualche modo, paura. Paura del giudizio e paura di non essere apprezzati.

Questo disturbo inizierebbe a notarsi nella prima giovinezza, ma può essere riscontrato anche durante l’infanzia, sebbene la semplice timidezza, che svanisce gradualmente con la crescita, sia molto comune tra i bambini. Durante adolescenza o prima età adulta la socializzazione e i rapporti interpersonali diventano piano piano più importanti, e nei casi in cui la timidezza, invece che svanire, progredisce portando a comportamenti di isolamento e chiusura, allora possiamo iniziare a chiederci come mai.

Un altro paragone che può venire spontaneo è quello con la fobia sociale, che non sarà argomento oggi. Sottolineiamo però, che la fobia sociale porta gli individui a temere le situazioni sociali, mentre nel disturbo evitante questi temono le relazioni sociali: questo porta una lieve differenza di definizione, ma una grande differenza in termini di comportamento e poi di cura.

 

stoner

In questo grafico potete osservare la relazione tra ansia sociale e problemi conseguenti, come evitamento di persone, situazioni e intimità, comparando timidezza, fobia sociale e disturbo evitante di personalità 5.

Non si conosce bene la ragione per la crescita di questo disagio (mi sembra abbiate già capito che questo valga un po’ per tutto), ma secondo le ricerche, lo sviluppo del disturbo evitante può essere attribuito a una varietà di fattori genetici, temperamentali e esperienze infantili 5.

Come ogni volta, ci sarebbero un sacco di cose da raccontare e temo di avervi già preso troppo tempo, ma ci fa sempre piacere quando vi mostrate curiosi/e. Sulla pagina “Psicoleggimi” potete trovare un post che va più in profondità con la narrazione della trama e ci dà degli spunti per delle domande sul disturbo evitante di personalità, che (teoricamente) dovrebbero essere (in parte) risolte con questo articolo.

Vi piacciono questi articoli? Cosa vi farebbe piacere leggere nei prossimi post? Avete qualcosa da aggiungere? Fateci sapere!

Al prossimo appuntamento con #letterapia

Grazie,
Brigitta

 

1nota degli autori del DSM 5: “Si dovrebbe notare che questo sistema di raggruppamento, sebbene utile in alcune situazioni di ricerca e didattiche, presenta serie limitazioni e non è stato coerentemente validato”.

2 DSM 5: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali

3 “La personalità e i suoi disturbi” Vittorio Lingiardi e Francesco Gazzillo (2014)

4  “Psicologia Clinica” Ronald J. Comer, a cura di Antonella Granieri e Francesco Rovetto (2017)

5 Weinbrecht, A., Schulze, L., Boettcher, J. et al. Avoidant Personality Disorder: a Current Review. Curr Psychiatry Rep 18, 29 (2016). https://doi.org/10.1007/s11920-016-0665-6

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