Benvenute e benvenuti al il primo incontro di #letterapia , il progetto di divulgazione scientifica mirato alla conoscenza, alla consapevolezza e all’abbattimento di miti e tabù sulla salute mentale.
Abituati a conoscere o dialogare su un libro sulla base della trama, oggi vedremo “Il cardellino” in chiave diversa, ovvero partendo da un accenno alla personalità del protagonista e da ciò che la scrittrice ha cercato di comunicarci, in modo più o meno velato, sulle conseguenze di un trauma.
Il protagonista del libro è Theo, un bambino, poi ragazzo e poi uomo, che perde la madre in un attentato in una galleria d’arte. Perché si trovassero in quel luogo, in orario scolastico e in un giorno lavorativo, sarà uno dei molti pensieri ricorrenti del nostro protagonista.
Ecco qua il nostro primo indizio per oggi: i pensieri ricorrenti. Altra parola evocativa per descriverli è “intrusivi”. Pensieri involontari, spiacevoli, che possono nascere per motivi diversi, a seconda della situazione. Nel nostro caso, nascono da un trauma.
Ma che cos’è un trauma?
In psicologia e in psicanalisi è un turbamento dello stato psichico, prodotto da un avvenimento dotato di notevole carica emotiva, ed è quindi successivo ad esperienze e fatti tristi, dolorosi, negativi1. È palese che Theo, da bambino, abbia vissuto un grande trauma, dove per di più ha subito la perdita della madre (e come se non bastasse gli capitano pure altre cose, ma leggetevi il libro). Lasciamo ora da parte la storia, evitiamo spoiler e iniziamo ad addentrarci nel cuore dell’argomento di oggi: il Disturbo da Stress Post-traumatico (di cui Theo soffre di brutto, spoiler-non-spoiler).
Per la quinta versione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5) il trauma è un evento che espone la persona a morte o ad una minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:
1) fare esperienza diretta dell’evento
2) assistere a un evento traumatico accaduto ad altri
3) venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a un membro della famiglia oppure a un amico stretto. In caso di morte o minaccia di morte, l’evento deve essere stato di natura accidentale o violenta;
4) fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi dell’eventi traumatico (es: primi soccorritori, agenti di polizia …)
Rientrano in questa categoria: abuso sessuale, aggressione, lutto, incidente, malattia, calamità naturali1,2. Quest’ultima frase è importante, perché la definizione non riguarda solo incidenti o catastrofi, ma anche cose che sembrano più “naturali” e comuni alla maggior parte di noi, come lutti o malattie. Ed è giusto sottolinearlo anche qui.
Ciò che porta “cucito addosso” un soggetto con DSPT (usiamo le sigle che fanno figo) sono incubi, flashback, reazioni fisiche come nausea, affanno, sudorazione, evitamento di ciò che fa ricordare l’evento – anche la frequentazione di un luogo, per esempio -, pensieri negativi, umore irritabile, incapacità di provare piacere, difficoltà a dormire, senso di colpa per essere sopravvissuti al posto di qualcun’altro e iper-reattività (come avere reazioni sproporzionate). I bambini invece, tendono a rivivere l’evento con giochi di ruolo, disegni e racconti.
Se vi sembra una tematica lontana, quasi di nicchia e anni luce da noi, ora vi dico un po’ di dati che vi faranno ricredere.
In Europa si stima che il 63,6% della popolazione abbia vissuto almeno un esperienza traumatica, tra cui gli uomini più comunemente delle donne (67% rispetto al 60%) e si stima che la prevalenza del DSPT nella popolazione vari tra l’ 1,1% e il 2,9% 3. Sembra una percentuale bassa? Vedetela così: su 100 persone che conoscete, 1,2 o 3 persone hanno subito un trauma che faticano a superare, vivendo alcuni dei sintomi riportati sopra. Le donne tendono a sviluppare DSPT in misura doppia rispetto agli uomini5 e in uno studio italiano, su un campione di 1961 donne è stata riscontrata la sintomatologia tipica nel 1,3% dei casi4.
Abbiamo visto che il 63,6% circa viene esposto ad eventi traumatici, ma per fortuna non tutti sviluppano il disturbo. Come mai in alcuni casi si, e in altri no?
La risposta alla domanda da un milione di dollari è che può accadere per molti motivi diversi. In altre parole: è multifattoriale. Insomma, è una fregatura bella e buona.
Ovviamente la gravità del trauma è un fattore da tenere in considerazione, ma ricordiamoci sempre che ciò che è grave per noi potrebbe non esserlo per qualcun altro, e viceversa. In molti casi un disturbo da stress psicologico può mostrarsi dopo l’alterazione della normale attività di due aree molto importanti che si trovano nel nostro cervello: ippocampo e amigdala. Ora non parleremo delle attività specifiche di queste strutture, ma è bene sapere che sono molto coinvolte nella regolazione dello stress, nella formazione dei ricordi e nella risposta alla paura. Tutti ingredienti che, come abbiamo visto, caratterizzano la formazione del DSPT. È quindi possibile che “anomalie” a livello cerebrale possano rendere una persona più sensibile a questo disturbo. Tutto questo può, in alcuni casi, essere accentuato da esperienze infantili negative, come violenza domestica, separazioni o divorzi difficili, abusi o scarsa capacità di adattamento alle novità5.
Il tutto potrebbe essere evitato, da principio, con una buona dose di legami familiari e amicali solidi, che dall’alba dei tempi sembrano proteggere la salute mentale… Fosse così facile! Sul vademecum per il buon cittadino sano, equilibrato e felice, magari ne parliamo un altro giorno.
Per adesso va bene così, ci lasciamo, magari più curiosi, e soddisfatti di essere venuti a conoscenza di qualcosa di nuovo. Il nostro obiettivo è di utilizzare questa rubrica come reciproco scambio, di opinioni, esperienze e sensazioni riguardo tematiche di cui non sempre sembra naturale parlare. Rendiamo semplice e soprattutto fruibile qualcosa di spaventoso e complesso.
Spero vi piaccia, a presto
B.
1 https://www.aisted.it/trauma
2 Mini Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (DSM-5)
3 “Post-Traumatic Stress Disorder”, a cura di Charles B. Nemeroff e Charles Marmar
4 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6416466/
5 “Psicologia Clinica” Ronald J. Comer, a cura di Antonella Granieri e Francesco Rovetto
Non ho ancora letto questo libro,ma trovo la rubrica molto interessante, penso che comprenderó e apprezzerò di più la storia dopo queste spiegazioni.
P.s.: meraviglioso il fatto che tu abbia inserito la bibliografia.
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Grazie mille delle tue parole!! Porteremo avanti la rubrica con positività ed entusiasmo ❤️
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