Benvenuti al terzo appuntamento di questo blog tour al femminile! Nawal al-Saadawi è una figura che vi è già stata brevemente descritta negli altri articoli, per cui non voglio tediarvi oltre. La sua storia inizia da bambina, vittima come tante di una società maschilista e patriarcale in cui le donne dovevano portare i capelli lunghi, non dissentire mai, ridere a bassa voce per non farsi sentire, fare le mogli e le madri senza diritti e con soli doveri. Nawal odia l’odore della cucina e non vorrà mai doversi occupare solo di quello nella propria vita: lei può dare di più. Lei DEVE dare di più. Ma Nawal è egiziana, nessuno si aspetta niente di diverso da lei, quasi non potesse proprio fisicamente alzarsi in piedi e andare per la sua strada.
La sua prima battaglia, dopo molti piccoli atti di ribellione, riguarda la tremenda pratica della mutilazione genitale femminile, che può essere fatta in diversi modi e riportare altrettanti nomi. Lei stessa, da bambina, ne è stata vittima, e non lo perdonerà mai a nessuno. Da questa esperienza nasce la donna che ha cambiato il mondo secondo le sue regole, che ha dato una speranza al mondo femminile arabo, e non solo.
Ho fatto questa piccola introduzione perché ho trovato curioso, come una passione e una convinzione talmente forti, possano essere nate da una pratica che lede alla dignità della bambina e della donna, e di come, qualche anno dopo nella sua pratica di medico, per colpa della mole (giustificata) di termini, libri, atlanti di anatomia e quant’altro, si sia dimenticata di cosa volesse dire prendersi cura di un uomo o una donna. Curioso in realtà per modo di dire, perché è una cosa che capisco bene, e di cui voglio parlarvi un po’ oggi.
Nawal fa della medicina la sua vita, le sue regole sono una trasposizione morale delle regole della medicina, la medicina e il funzionamento del corpo umano fanno da metafora per la spiegazione di tutto ciò che la circonda. È arrabbiata e sembra quasi che scelga la medicina non per passione, ma per poter rinfacciare agli altri che lei, una donna, è riuscita a fare un lavoro da “uomo” e a farlo anche bene. Questa convinzione e questo desiderio di rivolta sono molto forti in lei, e le permettono di arrivare in alto, di farsi sentire. Ma manca ancora qualcosa.
Sembra che si sia allontanata dai dogmi della religione e della cultura, per essere entrata in quelli della scienza. Parla della scienza come l’unico “vero credo”, e non se ne distacca mai. Solo più avanti capirà che la cura del corpo non può mai essere separata da quella che lei chiama “la cura dello spirito”.
Questo momento sarà per lei cruciale, una svolta nella sua storia di donna e di medico. Si accorgerà di aver tralasciato per troppo tempo, una parte fondamentale della propria vita e di quella dei suoi pazienti. Parte trascurata forse per salvaguardia della propria salute psichica, perché un medico ha già un carico di lavoro elevato, se poi si mette ad empatizzare troppo, può diventare un problema…
“Alzai lo sguardo verso quell’uomo e vidi i suoi occhi aggrappati ai miei, come se fosse un naufrago sul punto di morire che fissava un salvagente. Era come se avessi dimenticato la medicina, come se non avessi mai visitato un paziente prima di allora, come se vedessi per la prima volta nella mia vita gli occhi di un uomo che soffriva, come se sentissi per la prima volta il suono di un lamento.”
Il momento in cui arriva questo paziente, anziano agricoltore senza nulla da offrire, è uno dei più importanti della sua vita. Nawal ha un’illuminazione, le sembra tutto nuovo e anche se sa esattamente cosa fare, da medico, lo fa con un qualcosa in più: il dolore. Il dolore visto come sofferenza morale e psicologica, nel vedere qualcuno di fronte a te lamentarsi, soffrire e morire. Non lo aveva mai provato, non era mai stata capace di vedere i pazienti come esseri umani, i quali oltre che di carne erano fatti di ben altro.
“Com’erano riusciti i professori di medicina a farmi credere che il paziente non fosse altro che un fegato, una milza, intestini e viscere? Com’erano riusciti a farmi guardare negli occhi dei pazienti, puntandoci dentro una luce, sollevando le palpebre con le dita, senza che riuscissi anche solo ad intravederne la bellezza? Com’erano riusciti a farmi guardare dentro le gole dei pazienti senza udire il lamento che ne veniva fuori?”
Lei era partita lottando per la dignità delle donne arabe, ma da giovane medico non era ancora mai riuscita a pensare alla dignità di pazienti che le si presentavano. A vedere oltre la sua sofferenza fisica. Prima ho detto che un medico rischia di empatizzare troppo, ed è vero. Per lui/lei empatizzare può essere un grande rischio e può influenzare la sua obiettività e il suo lavoro. Bisogna trovare la giusta misura, tra ciò che è meglio per il paziente e ciò che è meglio per il medico. Finalmente si sta capendo che bisogna aiutare anche i medici a stare bene. Ma queste sono solo alcune delle grandi sfide della medicina moderna.
Ringrazio moltissimo questo libro per avermi dato la possibilità di parlare di un tema che mi sta così a cuore, che studio con passione e che ormai è diventato uno dei punti fondamentali della mia vita, per il quale lavoro e mi sforzo ogni giorno.
Una volta un mio professore ha spiegato che secondo le più recenti teorie sul trattamento del paziente malato, si deve passare dal “to cure” (curare) al “to care” (prendersi cura). Sembra una differenza minima, ma pensiamo a come noi, quotidianamente usiamo queste parole e ci accorgeremo che non si tratta affatto una sottigliezza.
La scrittrice in questo caso, ormai un bel po’ di anni fa, si ritrova perfettamente in linea con gli studi e le ricerche che prevedono un trattamento completo del paziente. Un trattamento che prende in considerazioni la salute da tutti i punti di vista, dove i professionisti, sempre più specializzati nelle loro competenze, collaborano e si occupano del paziente al meglio delle loro possibilità, ricordandosi che la salute non è solo assenza di malattia. Mi raccomando, non stiamo parlando dei tuttologi, non vogliamo un mondo dove un medico ortopedico si occupa della tua salute mentale e dove un tecnico radiologo si pronuncia in nome della dieta migliore da seguire durante una terapia. Parliamo di empatia. Parliamo invece di trattamento del paziente secondo ogni suo bisogno, trattamenti individuali e individualizzati, in cui ogni figura professionale è consapevole di avere a che fare con un padre, una madre, una figlia o un marito, un essere dotato di affettività e coscienza e che nel suo dolore lo lascia trasparire più che mai. Perché nel dolore escono le fragilità, le forze, ma anche i meccanismi di protezione, come quello che aveva sviluppato Nawal prima di rendersi conto che, nella sua pratica, mancava qualcosa.
Molto spesso, i medici, si dimenticano di chi hanno davanti, perché il loro ruolo è quello di farli stare meglio. Ma finalmente, il mondo della ricerca, della medicina e della psicologia, sta iniziando a capire che per far stare bene una persona il lavoro è molto più complicato, e necessita di essere un lavoro di squadra: una squadra che abbiamo provato a ricreare con questo blog tour, facendo sentire le voci di diverse protagoniste del loro ambito, che con i loro studi, le loro passioni e la loro curiosità sperano di avervi fatto capire e sviluppare una coscienza maggiore su questi temi.
Rimanete aggiornati sugli altri incontri, saranno stupendi!
A presto, B.
Titolo: Memorie di una donna medico
Autore: Nawal al-Sa’dawi
Casa editrice: Fandango Libri
Numero pagine: 106
Prezzo: 14€