“Contro questo rumore del mondo non aveva difese adeguate; temeva che tutta la complessa architettura del secolo – quella in cui si sentiva protetto e al sicuro – gli sarebbe crollata addosso, come aveva visto crollare la sua quercia scavata dai tarli: un involucro vuoto che al primo colpo di accetta si era schiantato a terra con un boato.”
Fin dalla mia infanzia sono stato appassionato di storia. Leggevo tutte le enciclopedie e i libri di storia per ragazzi che riuscivo a trovare. Quando Anna (aka La contessa rampante) mi ha chiesto di partecipare al suo progetto “Nel nome della strega”, ho subito accettato e le ho chiesto di assegnarmi uno dei tre romanzi storici che sono candidati quest’anno al Premio Strega. Alla fine ho scelto “Il rumore del mondo” di Benedetta Cibrario, edito Mondadori.
È un romanzo di 750 pagine ambientato tra Londra e Torino, sulla quarta di copertina veniva paragonato a “il Gattopardo”, romanzo che io amo, quindi sono partito con le migliori aspettative. La storia si dipana in dieci anni che vanno dal 1838 al 1848.
All’inizio del romanzo siamo in Normandia in una pensione in cui riposa Anne Bacon, figlia di uno degli imprenditori del mondo della seta più ricchi di Londra, che, durante la traversata della Manica, ha contratto il vaiolo. Seguiamo Anne durante la degenza che ripensa alla sua infanzia e alla vita a Londra per distrarsi dalla debolezza e dai brutti pensieri legati alla perdita della propria bellezza, a causa del vaiolo. Perché Anne ha attraversato la Manica? Cosa ci fa in Normandia? Anne, innamoratasi di Prospero Vignon, giovanotto piemontese facente parte della Legazione Sarda stanziata a Londra, decide di sposarlo e di seguirlo a casa – Torino. Anne è spaventata. Rimpiange di aver lasciato la casa di Londra, dove viveva con la sorella Grace e il padre Huntley Bacon. Le manca la sua istitutrice Miss Jerkins e il nonno. Nel suo viaggio è accompagnata dalla signora Manners e dalla fida domestica Eliza. Nonostante lunghi tentennamenti, le due accompagnatrici riescono a convincere Anne a proseguire il viaggio verso Torino per raggiungere suo marito.
Dopo un estenuante viaggio su diligenze e carrozze a nolo, raggiungono Torino. L’impatto è folgorante. Anne si trova spaesata in una città che non conosce e in un paese di cui non parla la lingua. Ha paura che Prospero non la voglia più dopo il vaiolo. Prospero accoglie Anne freddamente. Vede che non è più la ragazza bella e fine che aveva conosciuto a Londra. Anne è cambiata, ma anche lui è cambiato. Non può essere il giovane spensierato e galante del periodo londinese. In Piemonte, Prospero deve essere l’uomo per cui Casimiro, suo padre, ha investito e rimesso molto. Anne fa difficoltà ad ambientarsi a Palazzo Vignon, ma, grazie all’aiuto della signora Manners e di Eliza, riesce ad accettare il suo nuovo ruolo di moglie di un ufficiale dell’esercito piemontese.
L’esercito è la vita di Prospero, partecipa a tutte le manovre possibili, solo per evitare di stare in casa con la giovane moglie. È frustrato e continua a fare la vita da scapolo, fatta di ricevimenti, balli e serate al Caffè Fiorio. Nonostante Anne provi vari approcci per ritrovare il Prospero londinese, non riesce a fargli cambiare idea e si sente una moglie inadeguata.
“Quello che ha cambiato Anne è la malattia; quello che ha cambiato me, pensò, è la città. Qui, dove sono nato e cresciuto, in questa griglia di strade che si incrociano tutte con regolarità, non so essere che me stesso in un certo modo; mi sento in obbligo di seguire certe abitudini e di rispettarle, di conformarmi a quello che conosco meglio ed è uguale identico a quello a cui si sono adeguati mio padre e il padre di mio padre.”
L’occasione per punire Prospero per la sua freddezza arriva con un ballo di una delle famiglie aristocratiche più in vista del Regno. Lui riesce a convincere Anne ad andare al ballo e sarà l’occasione per presentarla ufficialmente a tutta l’aristocrazia sabauda. Anne arriva al ballo, ma, al momento di scendere dalla carrozza, decide di fare marcia indietro e di tornare a casa. Così facendo, mette in ridicolo suo marito di fronte a tutte le persone da cui lui vorrebbe farsi stimare. Casimiro, suo suocero, è un uomo di solidi principi e non può accettare il gesto di Anne, la quale ha infranto ogni regola dell’etichetta di corte. Sente che c’è una differenza abissale tra se e la nuora. Lei è figlia di mercanti di un paese liberale, due delle cose da lui più disprezzate. Il suocero decide di invitare Anne al Mandrone, tenuta di campagna della famiglia dei Vignon, per passarci l’estate. Anne scopre di amare la vita di campagna, si sente più libera rispetto alla città, c’è meno etichetta da rispettare. Finalmente, Anne comincia a cambiare e capisce qual è il suo posto in questo nuovo mondo che si affaccia negli anni ‘40 dell’Ottocento.
Questo romanzo è curato dal punto di vista storico, non ci sono incongruenze o anacronismi. L’autrice si è consultata con vari storici sia londinesi sia torinesi per ricostruire al meglio l’atmosfera delle due città durante gli anni del regno della regina Vittoria e di Carlo Alberto. La resa linguistica realistica dei servitori del Mandrone che parlano in dialetto torinese è uno dei punti di forza del romanzo. La caratterizzazione dei personaggi secondari è più che riuscita, infatti, sono caratterizzati meglio dei protagonisti. Un altro aspetto del romanzo che ho apprezzato è stata la narrazione per “scatole cinesi”, in molti casi la narrazione viene interrotta da lettere, diari e stralci di giornale che aiutano a tracciare meglio il contesto
storico e l’interiorità dei personaggi.
“Non volevamo essere governati da una mano straniera. Ci sentivamo italiani e piemontesi, Casimiro. Gente con una storia e una tradizione. Il tuo buon re avrebbe dovuto intuirlo. Quante bugie, invece. Ci avrebbe amati come un padre. Per essere davvero un padre bastava che conservasse quello che Bonaparte aveva fatto di buono.”
Ci sono vari difetti che non mi hanno fatto apprezzare totalmente questo libro. La storia è narrata da un narratore non ben identificato, a volte, ci sono delle domande che non si sa bene a chi siano rivolte. La costruzione del romanzo stesso è disarmonica – ci sono tre parti dedicate al 1838 e solo una, l’ultima, che racchiude otto anni (1840-1848). Lo stile regge in alcuni capitoli, mentre in altri ci sono delle cadute di stile. Mi spiego meglio, molte volte ci sono delle scene molto banali che seguono momenti di alta intensità e riflessione.
Nella sinossi, il romanzo viene presentato come la storia di Anne e Prospero, in parte è così. Anne è la vera protagonista del romanzo, ma, per quanto riguarda Prospero, ho notato di più la sua assenza rispetto alla sua presenza. La caratterizzazione di Anne non è totalmente riuscita perché per 300 pagine non cambia minimamente, resta la stessa ragazza di Londra, solo un po’ più malinconica. A mio avviso, non c’è stato uno sviluppo graduale del suo personaggio, anzi, cambia troppo repentinamente. Diventa un personaggio con più sfaccettature, ma restano lo stesso dei problemi, come la sua inadeguatezza nei confronti della politica. Prima fa discorsi molto profondi e acuti sulla concessione dello Statuto Albertino, poi dice di essere troppo stupida per capirci qualcosa. Non so, mi ha fatto perdere la fiducia che avevo in Anne.
La cosa che più mi ha lasciato di stucco e che non ho capito è il finale. Nelle ultime due pagine, l’autrice prende la parola e spiega come mai ha scelto di ambientare questo romanzo nell’Ottocento e fino a dove i personaggi sono frutto di fantasia. Non sono i ringraziamenti, è presente nelle ultime pagine della NARRAZIONE. Non ho capito questa scelta della Cibrario.
L’altro vero protagonista non è tanto Prospero, quanto suo padre Casimiro. È il mio personaggio maschile preferito di tutto il romanzo. Un padre severo che sacrifica il suo matrimonio e il figlio in nome della fedeltà alla tradizione famigliare perché tutti i Vignon devono essere dei soldati. Casimiro nasconde un segreto che non può rivelare a nessuno perché è troppo infamante, ma che solo Anne può davvero comprendere. L’evolversi del suo rapporto con la nuora è ciò che mi ha fatto proseguire la lettura. Iniziano la loro conoscenza con una diffidenza molto forte, ma che col tempo si stempera e Casimiro riesce a trovare delle qualità in Anne che prima non vedeva accecato com’era dai pregiudizi.
Per concludere, il romanzo ha delle parti molto belle, altre ripetitive che potevano essere tagliate senza pensarci troppo. È un romanzo storico, ma con poco ritmo. Non è incalzante, anzi, è molto lento. La lentezza è giusta in alcune parti per far prendere confidenza con i personaggi, mentre in altre rallenta la vicenda e fa venire voglia di abbandonare la lettura.
Ormai l’avete capito, non è un canonico romanzo storico. Se fosse stato più breve e con un poco più d’azione, l’avrei letto con più piacere.
L’idea di partenza della Cibrario di offrire un affresco degli anni che precedono la Prima guerra d’indipendenza (1848) è interessante e , come ho già scritto, storicamente valida, ma ho trovato tutto il romanzo strutturato in maniera poco bilanciata. L’autrice prende come modello i romanzieri vittoriani, infatti si sente il forte richiamo ad autori come Dickens , Thackeray e le sorelle Brontë. Il paragone che si fa nella sinossi a “Il Gattopardo” l’ho trovato alquanto azzardato. Lo sono sempre questi paragoni scritti meramente per indirizzare i lettori di quel romanzo su questo.
Nonostante tutti i difetti che ho riscontrato, sono contento di averlo letto perché, come affresco storico, è un romanzo più che valido. Forse, in un futuro leggerò altro dell’autrice, però, ora ho bisogno di una pausa dai romanzi storici e da Anne Bacon.
A presto,
J.
Titolo: Il rumore del mondo
Autore: Benedetta Cibrario
Casa editrice: Mondadori
Numero pagine: 752
Prezzo: 22€