“Facemmo un’incredibile festa di inaugurazione. Uno di quei party in cui la gente arriva a ondate- criminali sbronzi, yuppie, barboni, imbucati professionisti, ammiratori speranzosi, punkabestia svalvolati, punk incazzati, fricchettoni capelluti, secchioni effeminati, scolaretti ingenui, giornalisti cinici, froci urlanti e lesbiche sudate, poliziotti compiacenti, specialisti delle uscite di sicurezza, eroi alla conquista e comici senza speranza, grandi bugiardi, pallidi imitatori, viscidissimi arrampicatori, e anche un paio di pipistrelli vampiro che avevano abitato li in precedenza. “
Dovete sapere che, nella mia vita, c’è un senso di responsabilità abbastanza constante. Un giorno per l’università, un giorno per la casa, un giorno per il cane, un giorno per gli amici, un giorno per Adrenalibri. E molte volte per tutte queste cose insieme. Insomma, sento sempre di dover fare qualcosa. Quindi immaginatevi me, che per settimane ho pensato di mettermi alla scrivania (come se non ci stessi già abbastanza) a scrivere la recensione di “E morì con un falafel in mano”.
Per poi scoprire che si scrive “felafel”, anche se Word prova a modificarmelo a tutti i costi. Il fatto di essermi accorta di averlo sempre scritto e pronunciato nel modo sbagliato mi ha fatta sentire una cretina. E certo, siamo qui a parlare di libri, voi dovreste almeno riporre un minimo di fiducia in quello che dico, e io vi scrivo fAlafel.
Poi però ho pensato che anche voi siete come me, e mica lo sapevate. Se diceste di sì non vi crederei: è come quando qualcuno ti dice “no ma lo sapevo che sarebbe andata a finire così”.
No.
Tu non sapevi niente. È solo un fenomeno psicologico con un nome banalissimo che ti fa pensare che tu sappia leggere il futuro. E quindi mi sono calmata, e il mio senso di responsabilità è tornato al suo posto. Sulla scrivania. Con le mani sul computer.
E poi?
E poi mi sono resa conto che su questo libro io non ho ancora detto niente di importante. Non ho detto che ho fatto mille viaggi mentali, quando ancora pensavo si scrivesse falafel. Sulla traccia dei racconti delle sue (dis)avventure con i coinquilini, ho ricordato esperienze, belle e brutte, con le coinquiline che mi sono capitate in questi anni, in vacanza o in Erasmus. O addirittura da sola, in un ostello da 10 euro, a Zagabria in camera con altre 10 persone sconosciute. Immaginatevi. Io non so se voglio effettivamente ricordare tutti i particolari dei miei “coinquilinaggi”, ma John Birmingham l’ha fatto dei suoi. E l’ha fatto anche bene.
Molti di voi conosceranno già la storia, ma nessuno la conoscerà mai abbastanza. Perché delle mille cose che ci ha raccontato, ce ne saranno altre mille e UNO che probabilmente erano ancora più scandalose. E come le ha raccontante bene, poi. Con ritmo incalzante, descrizione caricaturale dei personaggi, che un po’ li ami tutti e un po’ li odi a morte. Perché? Perché sono sporchi, antipatici, un po’ spostati, un po’ omofobi e un po’ misogini. Insomma delle persone di merda.
E sono così anche le donne, che nel libro ricoprono un po’ il brutto ruolo o “della fidanzata di – ” o “della rompicazz*” che voleva tutto in ordine. Ma anche della mente che architetta truffe ben riuscite.
Diciamo pure che da questo libro non si salva nessuno. Forse nemmeno chi lo legge, perché ti trasporta in un vortice di orrore e mensole appiccicose di chissà che cosa, o forse perché dopo ti accorgerai che comunque, anche con il frigo sporco e puzzolente per mesi, una coinquilina un po’ rompiballe e un’altra che fuma in camera vostra tutto il tempo e a te fa schifo, tutto sommato ti è andata di lusso. Perché in questo libro non c’è solo che un tizio muore mangiando una piadina arrotolata intorno a delle polpette di ceci. Ma succede molto di peggio: danno fuoco a cose, litigano con poliziotti, trovano una ragazza segregata e legata al letto della camera di un ragazzo un po’ losco e in tutto ciò, l’unico motivo per cui ci si incazza è la scomparsa del frigo per tenere la birra e la droga.
Insomma un libricino leggero e per niente scabroso, adatto a grandi e piccini prima della buona notte.
No, non esattamente.
È un libro geniale, un resoconto di vita vissuta di merda, tra questa stessa merda, pillole e alcol. Mi sono divertita da matti leggendolo e lo vorrei leggere ancora una volta senza sapere cosa succede, così da avere il piacere di incontrare queste quasi 89 (non le ho contate) persone di nuovo. È divertente, un po’ crudele e ti fa chiedere, ad ogni pagina: PERCHE’?!?! SPIEGAMELO TI PREGO. Potresti avere una vita molto più semplice se solo passassi l’aspirapolvere ogni tanto, o ti facessi il bucato, o ci pensassi due volte prima di metterti in casa la cugina della madre della figlia di quel cane dell’ex compagno di classe tuo padre.
Quindi, passate tutt* l’aspirapolvere.
A presto,
B.
Titolo: E morì con un felafel in mano
Autore: John Birmingham
Casa editrice: Fandango Libri
Numero pagine: 197
Prezzo: 16€