Io oso tutto
SPOILER ALERT!
“[…] Venite , Spiriti che presiedete ai pensieri di morte; cancellate il mio sesso, stivatemi di crudeltà dalla coronati piedi! Ispessite il mio sangue, sbarrate ogni accesso al rimorso: che nessuna ipocrita istanza di umanità scuota il mio disegno mortale[…]”
Questa breve citazione rappresenta un pieno manifesto di quel personaggio shakespeariano che da il titolo al film. Lady Macbeth , film inglese del 2016 rappresenta l’esordio dietro la macchina da presa del regista teatrale William Oldroyd. Il film è ispirato dal racconto russo “Lady Macbeth of Mtsensk” di Nikolaj Leskov. L’ambientazione è profondamente diversa rispetto al racconto, molto più vicina all’ opera da cui prende il titolo: non siamo in Russia ma siamo nell’Inghilterra vittoriana, immersi nelle nebbiose brughiere del nord, un paesaggio brullo, spoglio e freddo come la famiglia a culla protagonista Katherine, si trova legata suo malgrado. Katherine, ragazza di umili origini, viene data in sposa ad un ricco proprietario terriero, Alexander Lester; Il marito inizia da subito a trattarla come una sottoposta, le vengono negate l’amore coniugale e qualsiasi tipo di libertà personale.
Lo spettatore segue Katherine nella sua routine asfissiante, fatta di regole ferree, ruoli sociali, violenze psicologiche da parte del suocero e cinica indifferenza del marito, durante il giorno come sul talamo nuziale. La routine viene interrotta da un improvviso impegno d’affari che terrà il marito e il suocero lontani da casa per un po’ di tempo. Katherine, ritrovata così la libertà, s’infatua del nuovo stalliere, di nome Sebastian, con cui inizia ad avere incontri clandestini che procedono indisturbati fino al ritorno del suocero. La protagonista vedendosi di nuovo in catene, ora più che mai visto che il suocero è venuto a conoscenza della sua tresca, sarà costretta a commettere una serie di omicidi via via più efferati in nome del suo amore, fino al nichilistico finale ( di cui parlerò in seguito).
Il film riesce egregiamente a mettere in scena una Lady Macbeth estremamente affascinante, ricca di contraddizioni: appassionata, ma calcolatrice, innamorata ma estremamente crudele; le stesse contraddizioni che potremmo ritrovare in una persona di potere, infatti Lady Macbeth sin dall’opera di Shakespeare è sempre stata il prototipo della donna di potere, più precisamente di un potere che snatura, un potere che quando ne si entra in possesso trasforma il suo possessore, che gli fa fare cose che non si sarebbe mai immaginato di fare (parlo in positivo, ma sopratutto in negativo).
Tuttavia c’è una differenza tra le le due “Ladies”: Se la Lady Macbeth di Shakespeare ha potere in quanto riesce a manipolare con successo il marito esitante, fungendo in qualche modo da “musa delle atrocità” compiute da Macbeth; Katherine ne è “artista”. Ella non si limita ad agire nell’ombra, con il tempo diventa sempre più spregiudicata, sempre più sfacciata, arriva più di una volta a sporcarsi le mani in prima persona, lei detiene in prima persona il potere dopo averlo strappato con la violenza. Entrambe le “Lady Macbeth” detengono un potere che che le snatura; ma se in Shakespeare ella è snaturata anche e sopratutto in quanto donna ( come si evince anche dalla citazione citazione in introduzione a questa analisi in cui Lady Macbeth Intima agli spiriti di cancellare il suo sesso), nell’opera di Oldroyd Katherine viene snaturata dal potere in quanto persona, in quanto essere dotato di morale, non in quanto donna. Una donna che riesce a manipolare tutti i personaggi con astuzia e violenza, il perfetto “principe” come lo intendeva Machiavelli, capace di essere volpe e leone a seconda delle circostanze, per difendere il suo amore per Sebastian adotta un atteggiamento militare.
Ma come diceva lo stesso Niccolò : “[…] Non si può ancora chiamare virtù ammazzare e’ suoi cittadini, tradire gli amici, essere senza fede, senza pietà, senza religione. e’ quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria[…]”, infatti con il finale la storia si chiude nel paradosso in quanto la condotta scellerata di Katherine le porta ad avere il potere necessario per vivere il suo amore ma perde l’amore di lui: dopo l’ultimo efferato omicidio (del quale preferisco non rivelare i dettagli) Sebastian, preda dei sensi di colpa, confessa tutti i loro delitti, lei, capendo che ormai il suo amore era perso, usa il potere della sua classe sociale per sbugiardarlo, la stessa classe sociale che all’inizio del film la imprigionava. Dunque il potere e la libertà si traducono nella solitudine.
Ora passiamo al lato tecnico. William Oldroyd è un regista teatrale e questo lo si vede soprattutto nel modo di gestire gli spazi: i personaggi occupano la scena in maniera omogenea, simmetrica, profondamente razionale. Nel film si alternato scene girate con delle inquadrature fisse, ogni volta siano presenti sulla scena il marito o il suocero di Katherine ( o più in generale personaggi che minano la sua libertà) e scene girate con la camera a mano ogni volta che la protagonista si sente libera; questo, unito ad una colonna sonora minimale e una fotografia basata sulla fredda luce naturale delle brughiere favorisce un’immersione efficacissima nel mondo della protagonista e nella protagonista stessa: siamo in trappola quando lo è lei, siamo liberi quando lo è lei; questo merito anche della impeccabile prova attoriale della protagonista, interpretata dall’attrice britannica Florence Pugh, nonostante la giovane età è stata in grado di reggere un film di questo spessore da protagonista, facendoci assistere alla sua metamorfosi da dolce e innocente ragazza ad algida e crudele femme fatale.
Se vi affascinano le atmosfere dell’Inghilterra vittoriana e siete interessati ad una rivisitazione ragionata del mito di Shakespeare, questo è il film che fa per voi.
A presto,
Carlito