“Se la toccava, non poteva parlarle, se l’amava non poteva andarsene, se parlava non poteva ascoltare, se lottava non poteva vincere.”
Arundhati Roy ci trasporta in India e negli anni sessanta. Nel paese inizia ad esserci qualche sprazzo di modernità, come mandare i figli a studiare all’estero e infiltrare le prime idee di comunismo tra gli operai, ma per alcune piccole, grandi, cose vige ancora una forte tradizione. Per esempio la tradizione prevede che le donne divorziate siano prive di qualunque posizione sociale, anche se la famiglia d’origine è ricca e facoltosa.
Se le donne divorziate non hanno diritti per lo stato e portano solo disonore alla famiglia, ci può essere qualcosa di peggio? Sì, una donna divorziata che si innamora di qualcuno che è nato senza agi, senza ricchezze e senza un nome importante: un Paravan, un “intoccabile”.
La storia viene raccontata dal punto di vista di diversi occhi, tutti responsabili di una “piccola cosa” che porta al tragico epilogo di questo romanzo. Non c’è nessuna anticipazione di troppo: l’aria che si respira già dalle prime pagine, le note di colore scuro che adornano ogni evento, fan sì che si entri subito in una storia che ha del magico, sì, ma anche del macabro. Il macabro è dato da uomini e mariti violenti, dalla tristezza e dalla cattiveria di donne che non hanno mai potuto conoscere l’amore, e da figli che pensano in modo così intenso che la madre possa smettere di volergli bene, che alla fine inizi a chiederti: “ma che cosa sai, tu, dell’amore materno?”.
I due gemelli dizigoti, Estha e Rahel, hanno vissuto un’infanzia felice, tutto sommato, avevano l’un l’altra e quello bastava, ogni tanto capitava ci fossero episodi di pensieri condivisi non espressi, come se le loro menti fossero connesse e non avessero bisogno di parlare. Erano felici fino al giorno in cui sono stati divisi, e Estha è stato “restituito” a suo padre.
Il libro inizia con la “ri-restituzione” di un uomo ormai adulto, e muto, alla famiglia con cui ha passato i primi anni. E da qui inizia una narrazione del passato, di cosa ha spinto la scelta di dividerli e di ciò che successe quelle due settimane che cambiarono la loro intera vita.
“Rahel non gli scrisse mai. Ci sono cose che non si possono fare.. Come scrivere una lettera a una parte di se stessi. Ai propri piedi, o ai capelli. O al cuore.”
Non è un libro semplice, salta molto spesso da una parte all’altra della storia e cambia narratore in modo imprevedibile. L’atmosfera cupa e l’afa tremenda che ti fa percepire, raccontando dell’umidità e del calore indiani, rendono questa lettura ancora più densa e ricca di sensazioni di come sarebbe stata in qualunque altra ambientazione.
Ma non avrebbe potuto esistere la storia, ambientata da qualche altra parte del mondo. Questo è un libro che può essere solo indiano.
Leggendolo riesci a sentire il dolore dei protagonisti, le delusioni mai superate che ti fanno impietosire, anche per i personaggi meno amati. Con questo libro senti tutto ciò che può aver vissuto una famiglia per cui tante piccole cose hanno portato allo sfacelo.
Leggendolo ti senti trasportata in un mondo estraneo e colorato a tinte scure, che da un lato vorresti poter vedere dal vivo per assicurarti che esista, ma allo stesso tempo invece vuoi starne alla larga perché viene fuori solamente rabbia.
Consigliato? Sì.
Necessita di rilettura.
Brigitta
- Titolo: Il dio delle piccole cose
- Autrice: Arundhati Roy
- Editore: Guanda
- Prezzo: 10 euro
